Attentati dell'11 settembre 2001

serie di attacchi terroristici
Disambiguazione – "11 settembre 2001" rimanda qui. Se stai cercando il film omonimo, vedi 11 settembre 2001 (film).

L'attentato dell'11 settembre 2001 fu un attacco suicida terroristico coordinato e compiuto contro obiettivi civili e militari degli Stati Uniti d'America da un gruppo di terroristi appartenenti all'organizzazione terroristica Al Qaida[1]. Gli attacchi causarono la morte di 2 977 persone (più 19 dirottatori) e il ferimento di oltre 6 000 persone[2]. Negli anni successivi si verificarono ulteriori decessi a causa di tumori e malattie respiratorie legate alle conseguenze degli attacchi. Per questi motivi e per gli ingenti danni infrastrutturali causati[3] tali eventi sono spesso considerati dall'opinione pubblica come i più gravi attentati terroristici dell'età contemporanea.

Attentati dell'11 settembre 2001
attentato
1ª fila: le Torri Gemelle bruciano su Manhattan
2ª fila: la sezione crollata del Pentagono (sinistra); lo schianto del volo United Airlines 175 sulla Torre Sud (destra)
3ª fila: un pompiere manovra i soccorsi a Ground Zero (sinistra); il ritrovamento di un motore del volo United Airlines 93 (destra)
4ª fila: il volo American Airlines 77 ripreso da una telecamera di sicurezza mentre si schianta sul Pentagono
TipoAttacco suicida, dirottamento aereo
Data11 settembre 2001
08:46 – 10:28 (UTC-4)
LuogoArlington, Manhattan (New York), Washington
StatoStati Uniti (bandiera) Stati Uniti
Stato federato  Distretto di Columbia
  New York
  Virginia
ObiettivoCampidoglio o Casa Bianca (non realizzato), Pentagono, World Trade Center
ResponsabiliTerroristi legati ad Al Qaida
MotivazioneOstilità di Al Qaida nei confronti degli Stati Uniti
Conseguenze
Morti2 996
(2 977 civili, 19 attentatori)
Feriti6 400
Dispersi22
Beni distruttiPentagono (una sezione gravemente lesionata), World Trade Center

La mattina di martedì 11 settembre 2001 quattro aerei di linea, appartenenti a due delle maggiori compagnie aeree statunitensi (United Airlines e American Airlines), furono dirottati da diciannove terroristi. Due aerei (il volo American Airlines 11 e il volo United Airlines 175) furono fatti schiantare rispettivamente contro le torri Nord e Sud del World Trade Center, nel quartiere Lower Manhattan di New York. Nel giro di 1 ora e 42 minuti entrambe le torri crollarono. I detriti e gli incendi causarono poi il crollo parziale o totale di tutti gli altri edifici del complesso del World Trade Center. Un terzo aereo, il volo American Airlines 77, fu fatto schiantare contro il Pentagono, sede del Dipartimento della Difesa, nella contea di Arlington in Virginia. L'attacco causò il crollo della facciata ovest dell'edificio. Un quarto aereo, il volo United Airlines 93, venne fatto inizialmente dirigere verso Washington per colpire il Campidoglio o la Casa Bianca, ma precipitò successivamente in un campo nei pressi di Shanksville, in Pennsylvania, a seguito di un'eroica rivolta dei passeggeri.

I sospetti ricaddero quasi subito sull'organizzazione terroristica di al-Qaida. Gli Stati Uniti reagirono aprendo la stagione della "guerra al terrorismo” e attaccando l'Afghanistan al fine di deporre il regime dei Talebani, neutralizzare al-Qaida e catturare o uccidere il suo leader Osama bin Laden. Il Congresso approvò il Patriot Act, mentre altri Paesi rafforzarono le proprie legislazioni in materia di terrorismo e rafforzarono le misure di sicurezza interna. Sebbene Osama Bin Laden inizialmente avesse negato ogni tipo di coinvolgimento, nel 2004 si dichiarò responsabile dei fatti dell'11 settembre[4]. L'organizzazione terroristica islamica da lui guidata citò come moventi il supporto statunitense ad Israele, la presenza di truppe statunitensi in Arabia Saudita e le sanzioni contro l'Iraq.

La distruzione del World Trade Center danneggiò l'economia della Lower Manhattan ed ebbe un significativo impatto sui mercati globali, causando anche la chiusura di Wall Street fino al 17 settembre. La rimozione dei detriti dal sito del World Trade Center (poi denominato Ground Zero) fu completata solo nel maggio 2002. I danni al Pentagono furono riparati nel giro di un anno. Il 18 novembre 2006 iniziò la costruzione dello One World Trade Center, inaugurato il 3 novembre 2014[5][6].

Tra i vari monumenti e memoriali eretti in onore delle vittime degli attentati, a New York, sui luoghi dove sorgeva il complesso del World Trade Center, si trova il National September 11 Memorial & Museum; nella Contea di Arlington è stato inaugurato il Pentagon Memorial; nei pressi di Shanksville, Pennsylvania, è invece situato il Flight 93 National Memorial.

Premessa

Al-Qāʿida

Lo stesso argomento in dettaglio: Al Qaida, Terrorismo islamista e Jihād.

La fase embrionale delle vicissitudini che portarono alla nascita di Al-Qāʿida sono da ricercare nell'invasione dell'Afghanistan nel 1979, intrapresa dall'Unione Sovietica con l'obiettivo di deporre il Presidente della RDA Hafizullah Amin e rimpiazzarlo con Babrak Karmal.[7][8] In seguito all'invasione, lo studente ventiduenne Osama bin Laden, all'epoca residente in Pakistan, si recò in Afghanistan per collaborare con l'organizzazione dei mujahidin arabi e per la creazione di Maktab al-Khidamat, una formazione il cui scopo era quello di raccogliere fondi e assoldare mujaheddin stranieri per resistere all'Armata Sovietica.[9] Nel 1989, dopo più di nove anni di guerra che provocarono vaste distruzioni al Paese nonché ampie perdite di vite civili, l'intervento sovietico nel conflitto ebbe termine con una ritirata generale delle proprie truppe, e il Maktab al-Khidamat si trasformò in una "forza di intervento rapido" del jihād contro i nemici del mondo islamico[10].

Sotto la guida di Ayman al-Zawahiri, Bin Laden assunse posizioni sempre più radicali nei confronti dell'Occidente[11], e nel 1996 promulgò la prima fatwā[12], intimando ai soldati americani di lasciare il territorio dell'Arabia Saudita[13]. Una seconda fatwā fu promulgata nel 1998, con un attacco diretto alla politica estera degli Stati Uniti d'America, con particolare riferimento ad Israele ed alla costante presenza di truppe statunitensi in Arabia Saudita, anche dopo la fine della guerra del Golfo[14]. Bin Laden citò testi dell'Islam per esortare i musulmani ad intraprendere azioni di forza contro gli statunitensi fino a quando i problemi sollevati non fossero stati risolti. Egli fece notare come «durante tutta la storia dei popoli islamici, gli ʿulamāʾ abbiano unanimemente affermato l'idea che il jihād rappresenti un dovere individuale se il nemico devasta i Paesi musulmani».[14]

Osama Bin Laden

Lo stesso argomento in dettaglio: Osama bin Laden e Morte di Osama bin Laden.
Osama bin Laden

Osama Bin Laden diresse gli attentati, ma in un primo momento negò ogni tipo di coinvolgimento salvo poi ritrattare[4][15][16]. Il 16 settembre 2001, Al Jazeera trasmise un comunicato di Bin Laden nel quale egli dichiarava: “Sottolineo che non ho compiuto io questo atto, il quale sembra essere stato compiuto da individui con proprie motivazioni”[17]. Nel novembre 2001, forze statunitensi ritrovarono un nastro in una casa distrutta a Jalalabad, in Afghanistan. Nel video si vede Bin Laden dialogare con Khaled al-Harbi e ammettere di essere a conoscenza degli attacchi prima del loro compimento[18]. Il 27 dicembre 2001, fu diffuso un secondo filmato, nel quale, pur continuando a negare ogni responsabilità[19], egli affermò:

«È divenuto chiaro che l'Occidente in generale e l'America in particolare nutrono un inimmaginabile odio verso l'Islam… è l'odio dei crociati. Il terrorismo contro l'America merita di essere premiato perché è una risposta all'ingiustizia, diretta a costringere l'America a fermare il suo supporto ad Israele, che uccide la nostra gente… Noi sosteniamo che la fine degli Stati Uniti è imminente... perché il risveglio della nazione islamica è giunto»

Tuttavia, poco prima delle elezioni presidenziali americani del 2004, Bin Laden usò un video messaggio per ammettere il coinvolgimento di al-Qāʿida negli attentati dell'11 settembre 2001[20]. Egli ammise il suo diretto coinvolgimento negli attacchi, dicendo di averli organizzati perché:

«... siamo liberi… e vogliamo riconquistare la libertà per la nostra nazione. Come voi minacciate la nostra sicurezza, così noi minacciamo la vostra.»

Bin Laden disse di aver personalmente diretto i suoi seguaci ad attaccare il World Trade Center e il Pentagono. Un altro video ottenuto da Al Jazeera nel settembre 2006 mostra Bin Laden e Ramzi bin al-Shibh, così come due dirottatori, Ḥamza al-Ghamdī e Wāʾil al-Shehrī, durante i preparativi per l'attacco[21]. Gli Stati Uniti non hanno mai incriminato Bin Laden per gli attentati dell'11 settembre, ma egli era già stato inserito nella lista dell'FBI dei più ricercati per gli attacchi alle ambasciate americane di Dar es Salaam in Tanzania e di Nairobi in Kenya[22][23].

Alle ore 1:09 del 2 maggio 2011[24], data e ora del fuso orario del Pakistan, un plotone di 24 assaltatori appartenenti all'unità anti-terrorismo DEVGRU dei Navy SEAL (i corpi speciali della Marina degli Stati Uniti), con l'appoggio della Special Activities Division della CIA, condusse un'operazione militare ad Abbottabad, vicino a Islamabad, presso una palazzina indipendente del leader di al-Qāʿida, individuato grazie a un'azione di spionaggio condotta fin dall'agosto del 2010 e lo uccisero in un assalto. Nella stessa notte del 1º maggio 2011 (fuso orario di Washington, dove non era ancora passata la mezzanotte), il presidente Barack Obama, che aveva seguito l'intera operazione attraverso le riprese di microcamere poste sugli elmetti degli assaltatori e di un drone, ne ha annunciato la morte.

Khalid Shaykh Muhammad

Lo stesso argomento in dettaglio: Khalid Shaykh Muhammad.

Yosri Fouda, giornalista per il canale televisivo arabo Al Jazeera, riportò che nell'aprile 2002 Khalid Shaykh Muhammad ammise il suo coinvolgimento negli attacchi, insieme a Ramzi bin al-Shibh[25][26][27]. Il Rapporto della Commissione sull'11 settembre stabilì che il forte risentimento di Muhammad verso gli Stati Uniti traeva origine dal “violento disaccordo sulla politica estera statunitense favorevole ad Israele". Muhammad era stato inoltre un consigliere e finanziatore dell'attentato al World Trade Center del 1993 e zio di Ramzi Yusuf, leader del gruppo degli attentatori in quell'attacco[28][29]. Muhammad fu arrestato il 1º marzo 2003 a Rawalpindi, in Pakistan, da ufficiali pakistani sotto il comando della CIA. Fu in seguito tenuto in più prigioni segrete della CIA e nel campo di prigionia di Guantanamo, dove fu interrogato e torturato con metodi come il waterboarding[30][31][32]. Durante le udienze nella prigione di Guantanamo, Muhammad confessò nuovamente le proprie responsabilità per gli attentati, dichiarando che “era stato responsabile degli attacchi dell'11 settembre dalla A alla Z” e che tale dichiarazione non era compiuta sotto costrizione alcuna[27][33].

Altri membri di al-Qāʿida

Durante il processo di Zakariyya Musawi, cinque persone furono identificate come soggetti aventi una conoscenza dettagliata delle operazioni. Esse erano: bin Laden, Khalid Shaykh Muhammad, Ramzi bin al-Shibh, Abu Turab al-Urdunni e Mohammed Atef[34]. Ad oggi, solo figure marginali sono state processate o condannate per gli attacchi[35].

Il 26 settembre 2005, la Audiencia Nacional spagnola condannò Abu Dahdah a 27 anni di prigione per cospirazione negli attacchi dell'11 settembre e per essere membro di un'associazione terroristica quale al Qaida. Allo stesso tempo, altri 17 membri di al-Qāʿida furono condannati a pene tra i sei e i gli 11 anni[36]. Il 6 febbraio 2006, la Suprema Corte spagnola ha ridotto la pena di Abu Dahdah a 12 anni perché ha considerato non provata la sua partecipazione alla cospirazione[37].

Sempre nel 2006, Musawi, che alcuni inizialmente sospettarono essere il ventesimo dirottatore, fu condannato per cospirazione al fine di commettere atti di terrorismo e di pirateria aerea. Fu condannato all'ergastolo negli Stati Uniti[38]. Munir el-Mutasaddiq, un associato del nucleo di dirottatori di Amburgo, trascorse 15 anni in una prigione tedesca per il suo ruolo nella preparazione del dirottamento. Rilasciato nell'ottobre del 2018, fu deportato in Marocco[39].

La “cellula di Amburgo” includeva musulmani radicalizzati che divennero poi cruciali negli attacchi dell'11 settembre[40]. Moḥammed ʿAṭā, Marwan al-Shehhi, Ziyād Jarrāḥ, Ramzi bin al-Shibh e Sa'id Bahaji erano tutti membri della cellula di Amburgo.

Moventi

La dichiarazione di una “guerra santa” contro gli Stati Uniti e la fatwā del 1998, promulgata da bin Laden, insieme ad altre che invitavano ad uccidere americani, sono viste dagli investigatori come moventi dei fatti. Nella “Lettera all'America”[41] del 2002, bin Laden ammette esplicitamente che le motivazioni degli attentati includono:

Dopo gli attacchi, Bin Laden ed Al-Zawahiri rilasciarono videoregistrazioni e registrazioni audio, alcune delle quali ribadivano le ragioni degli attacchi.

Bin Laden riteneva che Maometto avesse bandito la “costante presenza di infedeli in Arabia”. Nel 1996, bin Laden aveva lanciato una fatwā chiedendo l'abbandono immediato delle forze statunitensi. Nella fatwā del 1998[42] Al-Qāʿida scrisse:

«...per oltre sette anni gli Stati Uniti hanno occupato i territori dell'Islam, il più sacro dei luoghi, la penisola araba, saccheggiando le sue ricchezze, dando ordini ai suoi governanti, umiliando la sua gente, terrorizzando i suoi vicini e trasformando le sue basi nella penisola in un avamposto tramite cui combattere i popoli musulmani vicini.»

In un'intervista del dicembre 1999, Bin Laden disse di considerare gli americani troppo vicini a La Mecca e di valutare questa come una provocazione a tutto il mondo musulmano[43]. Un'analisi del terrorismo suicida suggerì che, se le truppe americane non fossero state in Arabia Saudita, probabilmente Al-Qāʿida non sarebbe stata in grado di reclutare attentatori suicidi[44].

Nella fatwā del 1998, Al-Qāʿida identificò le sanzioni all'Iraq come una delle ragioni per cui uccidere americani, condannando il blocco prolungato ed altre azioni che costituivano, secondo esso, una dichiarazione di guerra contro "Allah, il suo messaggero e i musulmani”. La fatwa dichiarò che:

«...l'ordine di uccidere americani e i loro alleati, civili e militari, è dovere di ogni musulmano che può farlo, in ogni nazione in cui è possibile, al fine di liberare la moschea di al-Aqsa e la santa moschea di La Mecca dalle loro mani, e affinché le loro armate se ne vadano dalle terre dell'Islam, sconfitti e incapaci di minacciare alcun musulmano.»

Nel 2004, bin Laden disse che l'idea di distruggere le Torri Gemelle gli venne nel 1982, quando fu testimone del bombardamento israeliano di alti appartamenti durante la Guerra del Libano del 1982. Alcuni analisti sostengono che fu proprio il supporto americano ad Israele una della motivazioni degli attacchi[43]. Nel 2004 e nel 2010, bin Laden collegò ancora una volta gli attentati dell'11 settembre al supporto americano ad Israele, anche se la maggior parte delle lettere esprimevano il disprezzo di bin Laden per il Presidente Bush e la sua speranza di distruggere e far fallire gli Stati Uniti[45].

Altre motivazioni sono state suggerite, in aggiunta a quelle dichiarate da bin Laden e da Al-Qāʿida, tra cui il supporto occidentale a regimi autoritari islamici e non, in Arabia Saudita, Iran, Egitto, Iraq, Pakistan e nord Africa e la presenza di truppe occidentali in alcune di queste nazioni[46]. Alcuni autori suggeriscono l'umiliazione che conseguì alla caduta del mondo islamico sotto il mondo occidentale - la cui discrepanza fu resa plastica soprattutto dalla globalizzazione[47] - e il desiderio di coinvolgere gli Stati Uniti in un vasto conflitto contro il mondo islamico nella speranza di motivare altri alleati a supportare Al-Qāʿida. Similmente, altri hanno contestato questa ricostruzione, secondo cui l'11 settembre fu una mossa strategica che aveva l'obiettivo di provocare gli Stati Uniti e coinvolgerli in una guerra che avrebbe incitato una rivoluzione panislamica[48].

Pianificazione

Gli attacchi furono concepiti da Khalid Shaykh Muhammad, che li descrisse per la prima volta a bin Laden nel 1996[49]. A quel tempo, bin Laden ed Al-Qāʿida stavano vivendo un periodo di transizione, essendo appena ritornati in Afghanistan dal Sudan. Gli attentati alle ambasciate statunitensi del 1998 e la fatwā dello stesso anno segnarono un punto di svolta e lo stesso bin Laden iniziò a riflettere su un attacco diretto agli Stati Uniti.

Mappa che mostra gli attacchi alle Torri Gemelle (gli aerei non sono in scala).

Sul finire del 1998 e l'inizio del 1999, bin Laden approvò il piano e diede il via libera a Muhammad per iniziare ad organizzare. Muhammad, Bin Laden e Mohammed Atef tennero una serie di incontri all'inizio del 1999. Atef fornì supporto alle operazioni, tra cui la scelta dell'obiettivo e aiutò a organizzare i viaggi dei dirottatori. Bin Laden non approvò tutti i piani di Muhammad, rigettando possibili obiettivi come la U.S. Bank Tower a Los Angeles per mancanza di tempo[50].

Bin Laden fornì leadership e supporto finanziario. Fu inoltre coinvolto nella selezione dei dirottatori. Inizialmente scelse Nawaf al-Hazmi e Khalid Al Mihdhar, entrambi reduci delle guerre in Bosnia. I due arrivarono negli Stati Uniti nel gennaio del 2000. In quel periodo presero lezioni di volo a San Diego, in California, ma entrambi parlavano poco la lingua e non brillarono nelle lezioni. Furono comunque scelti come dirottatori “secondari”.

Sul finire del 1999, un gruppo di uomini provenienti da Amburgo arrivò in Afghanistan. Tra di loro vi erano Mohammed Atta, Marwan al-Shehhi, Ziad Jarrah e Ramzi Bin al-Shibh. Bin Laden li scelse per via della loro educazione, per la loro capacità nel parlare l'Inglese e per la loro esperienza nel vivere in Occidente. Nuove reclute vennero costantemente vagliate per capacità speciali ed Al-Qāʿida di conseguenza scoprì che Hani Hanjour era già in possesso di una licenza da pilota. Muhammad disse in seguito che egli aiutò i dirottatori a mimetizzarsi, insegnando loro come ordinare cibo in ristorante e vestirsi in abiti occidentali.

Hanjour arrivò in San Diego l'8 dicembre 2000, incontrandosi con Hazmi. Entrambi partirono poi per l'Arizona, dove Hanjour ricominciò ad esercitarsi. Marwan al-Shehhi giunse alla fine del maggio 2000, mentre Atta arrivò il 3 giugno 2000 e Jarrah il 27 giugno 2000. Bin al Shibhri chiese più volte un visto per gli Stati Uniti, ma, essendo Yemenita, esso gli fu negato. Bin al Shibh rimase ad Amburgo, fornendo collegamento tra Atta e Mohammed. I tre membri della cellula di Amburgo presero lezioni di volo in Florida.

Nella primavera del 2001, i dirottatori secondari iniziarono ad arrivare negli Stati Uniti. Nel luglio 2001, Atta incontrò bin al-Shibh in Spagna, dove stabilirono dettagli del piano, incluso la scelta finale dell'obiettivo. Bin al-Shibh riferì anche il desiderio di Bin Laden che l'attacco fosse compiuto al più presto[51]. Alcuni attentatori ebbero il loro passaporto grazie a corrotti ufficiali sauditi che erano famigliari o usarono passaporti falsi per entrare.

Da talune fonti, si è ipotizzato che la data dell'attacco fosse stata scelta per la sua somiglianza con il numero telefonico di emergenza 911 (negli USA è abituale indicare prima il mese poi il giorno nelle date). Altre fonti sostengono che si tratti di un riferimento alla Battaglia di Vienna dell'11 settembre 1683, passata alla storia per aver segnato un punto di svolta profondo tra i mondi cristiano e islamico[52].

Prevenzione

Alla fine del 1999, il socio di Al Qaida Walid bin Attash ("Khallad") contattò Mihdhar, dicendogli di incontrarlo a Kuala Lumpur, in Malesia; anche Hazmi e Abu Bara al Yemeni sarebbero stati presenti. La NSA intercettò una telefonata che menzionava l'incontro, Mihdhar, e il nome "Nawaf" (Hazmi). Nonostante l'agenzia temesse che "qualcosa di nefasto potesse essere in corso", non prese ulteriori provvedimenti. La CIA era già stata avvisata dall'intelligence saudita in merito allo status di Mihdhar e Hazmi come membri di al-Qaida, e una squadra della CIA fece irruzione nella camera d'albergo di Dubai di Mihdhar e scoprì che Mihdhar aveva un visto statunitense. L'Alec Station avvisò le agenzie di intelligence in tutto il mondo di questo avvenimento, ma non condivise queste informazioni con l'FBI. La Filiale Speciale della Malesia osservò l'incontro del 5 gennaio 2000 dei due membri di al-Qaida e informò la CIA che Mihdhar, Hazmi e Khallad stavano volando a Bangkok, ma la CIA non lo notificò ad altre agenzie, né chiese al Dipartimento di Stato di inserire Mihdhar nella sua lista. Un intermediario dell'FBI con l'Alec Station chiese il permesso di informare l'FBI dell'incontro, ma gli venne detto che "l'evento non fosse un problema riguardante l'FBI".[53]

Alla fine di giugno, il funzionario antiterrorismo Richard Clarke e il direttore della CIA George Tenet erano convinti che una serie di attacchi stesse per arrivare, anche se la CIA riteneva che gli attacchi sarebbero probabilmente avvenuti in Arabia Saudita o in Israele.[54] All'inizio di luglio, Clarke mise le agenzie nazionali in "stato di allerta", dicendo loro: "Qualcosa di veramente spettacolare sta per accadere qui. Presto". Chiese all'FBI e al Dipartimento di Stato di allertare le ambasciate e i dipartimenti di polizia, e il Dipartimento della Difesa di andare alla "Condizione delta", il massimo livello d'allerta del Paese.[55][56] In seguito Clarke scrisse: "Da qualche parte nella CIA c'erano informazioni secondo cui due noti terroristi di al Qaida erano venuti negli Stati Uniti. All'FBI c'erano informazioni che accadevano cose strane nelle scuole di volo negli Stati Uniti. Avevano informazioni specifiche sui singoli terroristi. Nessuna di queste informazioni è arrivata a me o alla Casa Bianca."[57]

Il 13 luglio, Tom Wilshire, un agente della CIA assegnato alla Divisione Internazionale del Terrorismo dell'FBI, inviò per e-mail ai suoi superiori al Centro antiterrorismo della CIA chiedendo il permesso di informare l'FBI che Hazmi era nel Paese e che Mihdhar aveva un visto per gli Stati Uniti. La CIA non diede mai risposta.[58]

Lo stesso giorno di luglio, Margarette Gillespie, un'analista dell'FBI che lavorava nel CTC, fu incaricata di rivedere il materiale sull'incontro in Malesia. Non venne informata della presenza dei partecipanti negli Stati Uniti. La CIA diede a Gillespie le foto di sorveglianza di Mihdhar e Hazmi dall'incontro per mostrarle all'antiterrorismo dell'FBI, ma non fornì il corretto significato. Il database Intelink la informava di non condividere materiale di intelligence sulla riunione con investigatori criminali. Quando vennero mostrate le foto, all'FBI non furono concessi ulteriori dettagli sul significato e non fu loro fornita la data di nascita di Mihdhar né il numero del passaporto.[59] Alla fine di agosto 2001, Gillespie disse all'INS, al Dipartimento di Stato, al Servizio doganale e all'FBI di mettere Hazmi e Mihdhar nelle loro liste di controllo, ma all'FBI fu proibito di usare agenti criminali nella ricerca del duo, che ostacolò i loro sforzi.

Sempre a luglio, un agente dell'FBI con sede a Phoenix inviò un messaggio al quartier generale dell'FBI, Alec Station e agli agenti dell'FBI a New York, avvertendoli della "possibilità di uno sforzo coordinato di Osama bin Laden per inviare studenti negli Stati Uniti per frequentare università e college dell'aviazione civile". L'agente, Kenneth Williams, suggerì la necessità di intervistare tutti i dirigenti delle scuole di volo e identificare tutti gli studenti arabi in cerca di addestramento di volo.[60] A luglio, la Giordania avvisò gli Stati Uniti che al-Qaida stava pianificando un attacco agli Stati Uniti; "mesi dopo", la Giordania notificò agli Stati Uniti che il nome in codice dell'attacco era "The Big Wedding" ("Il grande matrimonio") e che riguardava aeroplani.

Il 6 agosto 2001, "l'Informativa Presidenziale Giornaliera" della CIA, designata "solo per il Presidente", fu intitolato "Bin Ladin determinato a colpire gli Stati Uniti". Il memo notò che le informazioni dell'FBI "indicavano modelli di attività sospette, in questo Paese, coerenti con i preparativi per dirottamenti o altri tipi di attacchi".[61]

A metà agosto, una scuola di volo del Minnesota avvisò l'FBI di Zakariyya Musawi, che aveva posto "domande sospette". L'FBI scoprì che Musawi era un radicale che aveva viaggiato in Pakistan e l'INS lo arrestò per aver soggiornato oltre la scadenza del visto francese. La loro richiesta di ricerca sul suo portatile fu respinta dal quartier generale dell'FBI a causa della mancanza di un indizio di colpevolezza.[62]

I fallimenti nella condivisione dell'intelligence furono attribuiti alle politiche del Dipartimento di Giustizia del 1995 che limitavano la condivisione dell'intelligence, combinate con la riluttanza della CIA e dell'NSA a rivelare "fonti e metodi sensibili" come i telefoni sotto controllo.[63] Testimoniando davanti alla Commissione sull'11 settembre ad aprile 2004, l'allora procuratore generale John Ashcroft ricordò che "la più grande causa strutturale per il problema dell'11 settembre era il muro che segregava o separava investigatori del crimine e agenti di intelligence".[64] Clarke scrisse anche: "Ci sono stati fallimenti nei fallimenti delle Organizzazioni nel reperire informazioni nel posto giusto al momento giusto".[65]

Gli attacchi

Lo stesso argomento in dettaglio: Cronologia degli attentati dell'11 settembre 2001.
Il Boeing 767 del Volo American Airlines 11
Il Boeing 767 del Volo United Airlines 175
Il Boeing 757 del Volo American Airlines 77
Il Boeing 757 del Volo United Airlines 93

Il mattino dell'11 settembre 2001, un martedì, diciannove dirottatori presero il comando di quattro aerei di linea passeggeri (due Boeing 757 e due Boeing 767) in viaggio verso la California (tre diretti a Los Angeles e uno a San Francisco), decollati dagli aeroporti Logan di Boston, Newark e Washington-Dulles[66]. Tutti gli aerei furono appositamente scelti perché pronti a lunghi voli e, quindi, carichi di carburante[66].

I quattro voli erano:

  • Volo American Airlines 11: un aereo Boeing 767, partito dall'Aeroporto Internazionale Logan di Boston alle 7:59 e diretto a Los Angeles con a bordo 76 passeggeri, 11 membri dell'equipaggio e 5 dirottatori. Gli attentatori fecero schiantare il volo contro la Torre Nord del World Trade Center alle 8:46.
  • Volo United Airlines 175: un aereo Boeing 767, partito anch'esso dall'Aeroporto Internazionale Logan di Boston alle 8:14 e diretto a Los Angeles con a bordo 51 passeggeri, 9 membri dell'equipaggio e 5 dirottatori. L'aereo si andò a schiantare contro la Torre Sud del World Trade Center alle 9:03.
  • Volo American Airlines 77: un aereo Boeing 757, decollato dall'Aeroporto Internazionale di Washington-Dulles alle 8:20 e diretto a Los Angeles con a bordo 53 passeggeri, 6 membri dell'equipaggio e 5 dirottatori. L'aereo si schiantò contro la facciata ovest del Pentagono, nella Contea di Arlington, in Virginia, alle 9:37.
  • Volo United Airlines 93: un aereo Boeing 757, decollato dall'Aeroporto Internazionale di Newark, in New Jersey, alle 8:42, e diretto a San Francisco, con a bordo 33 passeggeri, 7 membri dell'equipaggio e 4 dirottatori. A causa di una rivolta dei passeggeri, l'aereo non colpì l'obiettivo previsto e precipitò in un campo nei pressi di Shanksville, in Pennsylvania, alle 10:03[67]. Si ritiene che l'obiettivo di questo sarebbe potuto essere il Campidoglio di Washington o la Casa Bianca.

La copertura mediatica degli avvenimenti fu molto estesa sia durante gli attacchi che dopo, iniziando pochi attimi dopo il primo attacco al World Trade Center[68][69].

I dirottamenti e gli attentati

Il volo United Airlines 175 si schianta contro la Torre Sud, circa 17 minuti dopo la prima collisione, ripreso in diretta dai notiziari

Alle 8:46, cinque dirottatori fecero schiantare il volo American Airlines 11 sulla facciata settentrionale della Torre Nord del World Trade Center (WTC 1)[70]. Alle 9:03, altri cinque dirottatori, al comando del volo United Airlines 175, fecero schiantare il velivolo nella facciata meridionale della Torre Sud (WTC 2)[71]. Cinque dirottatori, poi, diressero il volo American Airlines 77 contro la facciata ovest del Pentagono alle 9:37. Infine, alle 10:03, un quarto aereo, il volo United Airlines 93, precipitò in un campo in Pennsylvania al termine di uno scontro tra passeggeri e dirottatori. Si ritiene che l'obiettivo del volo 93 sarebbe potuto essere il Campidoglio di Washington o la Casa Bianca[66]. Le registrazioni della scatola nera di quest'ultimo volo hanno infatti rivelato che l'equipaggio e i passeggeri tentarono di sottrarre il controllo dell'aereo ai dirottatori dopo aver saputo, per via telefonica, che quella mattina altri aerei erano stati dirottati ed erano stati fatti schiantare contro degli edifici.[72][73] Secondo la trascrizione della registrazione, uno dei dirottatori diede l'ordine di virare il velivolo quando fu chiaro che ne avrebbero perso il controllo a causa dei passeggeri.[74] Poco dopo, l'aeroplano si schiantò in un campo vicino Shanksville, nella contea di Somerset (Pennsylvania), alle 10:03:11. In un'intervista rilasciata al giornalista di al Jazeera Yosri Foda, Khalid Shaykh Muhammad affermò che l'obiettivo del volo 93 era il Campidoglio di Washington, il cui nome in codice era «la facoltà di Legge».[75]

Nel corso dei dirottamenti, alcuni passeggeri e membri dell'equipaggio furono in grado di effettuare chiamate con l'apparecchio radiotelefonico aria-superficie della GTE e con i telefoni cellulari;[76][77] costoro furono in grado di fornire dettagli su quanto stava accadendo. Si riuscì a comprendere come diversi dirottatori fossero a bordo di ciascun aeroplano e che costoro avevano usato spray urticante e lacrimogeni per sopraffare i membri dell'equipaggio e tenere i passeggeri fuori dalla cabina della prima classe[78][79]. Si capì, inoltre, che alcune persone a bordo degli aerei erano state accoltellate[80][81][82][83]. I terroristi avevano preso il controllo dei velivoli usando coltelli e taglierini per uccidere alcuni assistenti di volo e almeno un pilota o un passeggero, tra cui il comandante del volo 11, John Ogonowski. La Commissione d'indagine sugli attentati dell'11 settembre 2001 stabilì che due dei dirottatori avevano precedentemente acquistato attrezzi multifunzione di marca Leatherman.[84] Un assistente di volo dell'American Airlines 11, un passeggero del volo 175 e alcuni passeggeri del volo 93 riferirono che i dirottatori avevano delle bombe, ma uno dei passeggeri disse anche di ritenere che si trattasse di ordigni inerti. Nessuna traccia di esplosivi fu trovata nei luoghi degli impatti. Il Rapporto della Commissione sull'11 settembre afferma che le bombe erano probabilmente false.[85]

Quel giorno, tre edifici del complesso del World Trade Center crollarono a causa di cedimenti strutturali[86]. La Torre Sud (WTC 2), la seconda ad essere stata colpita, crollò alle 9:59, 56 minuti dopo l'impatto con il volo United Airlines 175, che aveva causato un'esplosione ed un conseguente incendio per via del carburante presente nell'aereo; la Torre Nord (WTC 1) crollò alle 10:28, dopo un incendio di circa 102 minuti[86]. Il collasso del WTC 1 produsse dei detriti che danneggiarono la vicina 7 World Trade Center (WTC 7), la cui integrità strutturale fu ulteriormente compromessa dagli incendi, che portarono al crollo della penthouse est alle 17:20 di quello stesso giorno; l'intero edificio collassò completamente meno di un minuto dopo, alle 17:21 ora locale[87]. Nella contea di Arlington, anche la facciata ovest del Pentagono subì ingenti danni.

Mappa della zona interessata dagli attacchi, sovrapposta a un'immagine di Ground Zero

Il National Institute of Standards and Technology promosse delle investigazioni sulle cause del collasso dei tre edifici, successivamente allargando le indagini sulle misure per la prevenzione del collasso progressivo, chiedendosi ad esempio se la progettazione aveva previsto la resistenza agli incendi e se era stato effettuato un rafforzamento delle strutture in acciaio. Il rapporto riguardo alle Torri Nord e Sud fu terminato nell'ottobre 2005, mentre l'indagine sul WTC 7 è stata pubblicata il 21 agosto 2008: il crollo dell'edificio è stato causato dalla dilatazione termica, prodotta dagli incendi incontrollati per ore, dell'acciaio della colonna primaria, la numero 79, il cui cedimento ha dato inizio a un collasso progressivo delle strutture portanti vicine.[88]

Venuta a conoscenza dei dirottamenti e dei seguenti attacchi coordinati, alle 9:42 l'Amministrazione dell'Aviazione Federale (Federal Aviation Administration, FAA) bloccò tutti i voli civili all'interno dei confini degli Stati Uniti e ordinò a quelli già in volo di atterrare immediatamente[89]. Tutti i voli civili internazionali furono fatti ritornare indietro o indirizzati ad aeroporti in Canada o Messico. A tutto il traffico aereo civile internazionale fu proibito di atterrare negli Stati Uniti per tre giorni[90]. Gli attacchi crearono grande confusione tra le agenzie di notizie e i controllori del traffico aereo in tutti gli Stati Uniti per via di notizie non confermate e spesso contraddittorie: una delle ricostruzioni più diffuse raccontava di un'autobomba esplosa nella Segreteria di Stato degli Stati Uniti a Washington[91]. Poco dopo aver dato notizia dell'incidente al Pentagono, la CNN e altre emittenti raccontarono anche di un incendio scoppiato al National Mall di Washington.[92] Un altro rapporto fu diffuso dalla Associated Press, secondo il quale un Boeing 767 della Delta Air Lines, il volo 1989, era stato dirottato: anche questa notizia si rivelò poi un errore, in quanto si era effettivamente pensato che vi fosse quel pericolo, ma l'aereo rispose ai comandi dei controllori di volo e atterrò a Cleveland (Ohio).[93]

Vittime

Lo stesso argomento in dettaglio: Vittime degli attentati dell'11 settembre 2001.
Raccolta delle foto di quasi tutte le vittime degli attacchi (mancano solo quelle di 92 persone e dei terroristi): documento presentato nel processo contro Zakariyya Musawi

Le vittime degli attentati furono 2 977, esclusi i 19 dirottatori: 246 su 4 aeroplani (87 sul volo American Airlines 11,[94] 60 sul volo United Airlines 175,[95] 59 sul volo American Airlines 77[96] e 40 sul volo United Airlines 93;[97] non ci fu alcun superstite), 2.606 a New York e 125 al Pentagono.[98][99] Altre 24 persone sono ancora elencate tra i dispersi.[100] Oltre alle vittime civili c'erano anche 343 vigili del fuoco, 72 agenti delle forze dell'ordine e 55 militari che furono uccisi negli attacchi.[101] Furono più di 90 i Paesi che persero cittadini negli attacchi al World Trade Center.[102]

Il NIST ha stimato che circa 17 400 civili erano presenti nel complesso del World Trade Center al momento degli attacchi, mentre i dati sui turisti elaborati dalla Port Authority of New York and New Jersey ("Autorità portuale di New York e del New Jersey") suggeriscono una presenza media di 14 154 persone sulle torri gemelle alle 8:45 del mattino.[103][104] La gran parte delle persone al di sotto delle zone di impatto evacuò in sicurezza gli edifici, come pure 18 persone che si trovavano nella zona di impatto della Torre Sud;[105] Al contrario, 1 366 delle vittime si trovavano nella zona di impatto o nei piani superiori della Torre Nord;[106] secondo il Rapporto della Commissione, centinaia furono le vittime causate dall'impatto, mentre le restanti rimasero intrappolate e morirono a seguito del collasso della Torre.[107] Quasi 600 persone furono invece uccise dall'impatto o morirono intrappolate ai piani superiori nella Torre Sud.[106]

Almeno 200 persone saltarono dalle Torri in fiamme e morirono, come raffigurato nell'emblematica foto The Falling Man ("L'uomo che cade"), precipitando su strade e tetti degli edifici vicini, centinaia di metri più in basso.[108] Alcune persone che si trovavano nelle Torri al di sopra dei punti d'impatto salirono fino ai tetti degli edifici sperando di essere salvati dagli elicotteri, ma le porte di accesso ai tetti erano chiuse; inoltre, non vi era alcun piano di salvataggio con elicotteri e, quella mattina dell'11 settembre, il fumo denso e l'elevato calore degli incendi avrebbe impedito agli elicotteri di effettuare manovre di soccorso.[109]

Le vittime tra i soccorritori furono 411.[110] Il New York City Fire Department (i vigili del fuoco di New York) perse 341 vigili del fuoco e 2 paramedici[111], tra cui il cappellano Mychal Judge (per il quale fu avviata una campagna di beatificazione)[112]; il New York City Police Department (la polizia di New York) perse 23 agenti,[113] il Port Authority Police Department (la polizia portuale) 37.[114] I servizi di emergenza medica privata persero altri 8 tecnici e paramedici.[115][116]

La Cantor Fitzgerald L.P., una banca di investimenti i cui uffici si trovavano ai piani 101-105 del WTC 1, perse 658 impiegati, più di qualunque altra azienda.[117] La Marsh Inc., i cui uffici si trovavano immediatamente sotto quelli della Cantor Fitzgerald ai piani 93-101 (dove avvenne l'impatto del volo 11), perse 295 impiegati, mentre 175 furono le vittime tra i dipendenti della Aon Corporation.[118] Dopo New York, lo Stato che ebbe più vittime fu il New Jersey, con la città di Hoboken a registrare il maggior numero di morti.[119]

È stato possibile identificare i resti di sole 1 600 delle vittime del World Trade Center; gli uffici medici raccolsero anche «circa 10 000 frammenti di ossa e tessuti non identificati, che non possono essere collegati alla lista dei decessi».[120] Altri resti di ossa furono trovati ancora nel 2006, mentre gli operai approntavano il Deutsche Bank Building per la demolizione.

La morte per malattie ai polmoni di altre persone è stata fatta risalire alla respirazione delle polveri contenenti centinaia di composti tossici (come amianto, mercurio, piombo, ecc.) causate dal collasso del World Trade Center. La gravità dell'inquinamento ambientale derivante da tali polveri – che investirono tutta la punta sud dell'isola di Manhattan – fu resa nota al grande pubblico solo a distanza di circa quattro anni dall'evento: sino ad allora le agenzie governative statunitensi avevano sottovalutato o nascosto il rischio ambientale, forse allo scopo di non causare ulteriore panico e di rendere più spediti i soccorsi, lo sgombero delle macerie, il ripristino delle normali attività della città così gravemente ferita.[121][122][123]

Nel 2021 si stimano oltre 4 600 morti per patologie correlabili all'attentato[124]. Inoltre 65 000 persone hanno ottenuto, dal World Trade Center (Wtc) Health Program, il riconoscimento della diagnosi di una patologia correlabile agli attentati dell'11 settembre[124].

Danni

Il Pentagono fu seriamente danneggiato dal fuoco e una sezione dell'edificio collassò

Oltre anche alle Torri Gemelle, i due grattacieli di 110 piani, numerosi altri edifici del World Trade Center furono distrutti o gravemente danneggiati, inclusi il seven World Trade Center, il Six World Trade Center, il Five World Trade Center, il Four World Trade Center, il Marriott World Trade Center e la chiesa greco ortodossa di San Nicola.[125] Il Deutsche Bank Building, situato di là dalla Liberty Street rispetto al complesso del World Trade Center, è stato demolito in quanto l'ambiente all'interno dell'edificio era tossico e inabitabile.[126][127] La Fiterman Hall del Borough of Manhattan Community College, situato al 30 West Broadway, ricevette gravi ed estesi danni durante gli attacchi, tanto da farne programmare la demolizione.[128] Altri edifici limitrofi, come il 90 West Street e il Verizon Building, subirono gravi danni, ma sono stati riparati.[129] Gli edifici del World Financial Center, la One Liberty Plaza, il Millennium Hilton, e 90 Church Street riportarono danni moderati.[130] Anche gli impianti di telecomunicazioni situati sulla torre settentrionale andarono distrutti, incluse le antenne di trasmissione radio e televisive e i ponti radio, ma le stazioni degli organi di informazioni re-instradarono rapidamente i segnali e ripresero le trasmissioni.[125][131]

Nella contea di Arlington, una porzione del Pentagono fu gravemente danneggiata dall'impatto e dal successivo incendio.

Operazioni di salvataggio e soccorso

Evacuazione di un ferito nell'attentato al Pentagono

Successivamente agli attacchi alle Torri gemelle, il New York City Fire Department inviò rapidamente sul sito 200 unità, pari a metà dell'organico del Dipartimento, che furono aiutati da numerosi pompieri fuori-servizio e da personale dei pronto soccorso.[132][133][134] Il New York City Police Department inviò delle unità speciali dette "Emergency Service Units" e altro personale.[135] Durante i soccorsi, i comandanti dei vigili del fuoco, della polizia e dell'Autorità portuale ebbero difficoltà a condividere le informazioni e a coordinare i loro sforzi,[132] tanto che vi furono duplicazioni nelle ricerche dei civili dispersi invece che ricerche coordinate.[136]

Con il peggiorare della situazione, il dipartimento di polizia, che riceveva informazioni degli elicotteri in volo, fu in grado di diffondere l'ordine di evacuazione che permise a molti dei suoi agenti di allontanarsi prima del crollo degli edifici;[135][136] tuttavia, poiché i sistemi di comunicazione radio dei dipartimenti di polizia e di vigili del fuoco erano incompatibili, questa informazione non fu inoltrata ai comandi dei vigili del fuoco. Dopo il collasso della prima Torre, i comandanti dei vigili del fuoco trovarono difficoltà a inviare gli ordini di evacuazione ai pompieri all'interno della torre, a causa del malfunzionamento dei sistemi di trasmissione all'interno del World Trade Center. Persino le chiamate al 911 (il servizio di emergenza) non furono correttamente inoltrate.[133] Un'enorme operazione di ricerca e salvataggio fu lanciata dopo poche ore dagli attacchi; le operazioni cessarono alcuni mesi dopo.[137]

Attentatori e loro moventi

Mohamed Atta, responsabile operativo degli attacchi, morto nell'impatto del volo American Airlines 11

Gli attentatori dell'11 settembre appartenevano al gruppo al-Qa'ida guidato da Osama bin Laden e gli attacchi sono il risultato degli obiettivi formulati nella fatwā[138] emessa dallo stesso Osama bin Laden oltre che Ayman al-Zawahiri, Abū Yāsir Rifāʿī Ahmad Ṭāhā, Mir Hamza e Fazlur Rahman, la quale dichiarava che fosse «dovere di ogni musulmano [...] uccidere gli americani in qualunque luogo».[139][140][141]

Al-Qāʿida

Lo stesso argomento in dettaglio: Al-Qāʿida.

L'origine di al-Qāʿida risale al 1979, anno dell'invasione sovietica dell'Afghanistan; poco dopo l'invasione, Osama bin Laden si recò in Afghanistan per collaborare con l'organizzazione dei mujahidin arabi e alla creazione di Maktab al-Khidamat, una formazione il cui scopo era quello di raccogliere fondi e assoldare mujaheddin stranieri per resistere all'Unione Sovietica. Nel 1989, con il ritiro delle forze sovietiche dal conflitto afghano, il Maktab al-Khidamat si trasformò in una "forza di intervento rapido" del jihād contro i nemici del mondo islamico.

Sotto l'influenza di Ayman al-Zawahiri, bin Laden assunse posizioni più radicali. Nel 1996, bin Laden promulgò la prima fatwā, con la quale intendeva allontanare i soldati statunitensi dall'Arabia Saudita. In una seconda fatwa diffusa nel 1998, bin Laden avanzò obiezioni sulla politica estera statunitense nei riguardi di Israele, come pure sulla presenza di truppe statunitensi in Arabia Saudita anche dopo la fine della guerra del Golfo.[14] Bin Laden citò testi dell'Islam per esortare ad azioni di forza contro soldati e civili statunitensi fin quando i problemi sollevati non fossero risolti, notando che «durante tutta la storia dei popoli islamici, gli ʿulamāʾ hanno unanimemente affermato che il jihād è un dovere individuale se il nemico devasta i paesi musulmani».[14]

Organizzazione degli attacchi

Prima, durante e dopo l'attentato dell'11 settembre 2001

Fu anche coinvolto nella scelta dei partecipanti all'attentato, tanto che fu lui a scegliere Mohamed Atta come il capo dei dirottatori.[142] Khālid Shaykh Muḥammad fornì il supporto operativo, selezionando gli obiettivi e organizzando i viaggi per i dirottatori[143] - quasi ventisette membri di al-Qāʿida tentarono di entrare negli Stati Uniti d'America per prendere parte agli attacchi dell'11 settembre -;[85] bin Lāden modificò alcune decisioni di Khālid Shaykh Muḥammad, respingendo alcuni potenziali obiettivi come la U.S. Bank Tower di Los Angeles.[144]

La National Commission on Terrorist Attacks upon the United States (Commissione Nazionale sugli Attacchi Terroristici contro gli Stati Uniti) fu formata dal governo degli Stati Uniti ed è comunemente nota come 9/11 Commission; il 22 luglio 2004 la commissione rilasciò un rapporto nel quale concludeva che gli attacchi erano stati progettati e messi in atto da membri di al-Qāʿida. La commissione affermò che «gli organizzatori dell'attentato dell'11 settembre spesero in totale tra 400 000 e 500 000 dollari per progettare e mettere in atto il loro attentato, ma che la precisa origine dei fondi utilizzati per eseguire gli attacchi è rimasta sconosciuta».[145]

Dirottatori

Lo stesso argomento in dettaglio: Dirottatori degli attentati dell'11 settembre 2001.
Gli edifici intorno al World Trade Center furono gravemente danneggiati dai detriti e dalla caduta delle Torri gemelle

Quindici dirottatori provenivano dall'Arabia Saudita, due dagli Emirati Arabi Uniti, uno dall'Egitto e uno dal Libano.[146] In contrasto con il consueto profilo degli attentatori suicidi, i dirottatori erano adulti maturi e ben istruiti, le cui visioni del mondo erano ben formate.[147] Dopo alcune ore dagli attacchi, l'FBI fu in grado di determinare i nomi e, in molti casi, i dettagli personali dei sospetti piloti e dirottatori.[148][149] Il bagaglio di Mohamed Atta, che non fu trasbordato dal suo volo da Portland sul volo 11, conteneva documenti che rivelarono l'identità di tutti i 19 dirottatori e altri importanti indizi sui loro piani, sulle loro intenzioni e sui loro precedenti.[150] Il giorno degli attacchi, la National Security Agency intercettò delle comunicazioni che portavano a Osama bin Laden, come avevano fatto i servizi segreti tedeschi.[151]

Il 27 settembre 2001, l'FBI rese pubbliche le foto dei diciannove dirottatori, assieme alle informazioni sulle possibili nazionalità e nomi falsi di molti.[152] Le indagini dell'FBI sugli attacchi, note come "PENTTBOM", furono le più vaste e complesse nella storia dell'ente, coinvolgendo più di 7 000 agenti speciali.[153] Il governo degli Stati Uniti determinò che al-Qāʿida, diretta da Osama bin Lāden, era responsabile per gli attacchi, con l'FBI che affermò che «le prove che mettono in relazione al-Qāʿida e bin Lāden agli attacchi dell'11 settembre sono chiare e irrefutabili»;[154] Il governo del Regno Unito raggiunse la stessa conclusione.[155]

La dichiarazione di una guerra santa contro gli Stati Uniti d'America e la fatwā firmata da Osama bin Lāden e altri nel 1996, in cui si chiedeva l'uccisione di civili statunitensi, sono viste come indizi del suo movente negli attacchi dell'11 settembre da parte degli investigatori.[156] Inizialmente bin Lāden negò il proprio coinvolgimento negli attacchi, per poi ammetterlo.[157][158] Il 16 settembre 2001, bin Lāden negò ogni coinvolgimento negli attacchi leggendo una dichiarazione trasmessa dal canale satellitare del Qatar Al Jazeera: «Sottolineo che non ho attuato questo gesto, che sembra essere stato portato avanti da individui con motivazioni proprie»;[159] questa smentita fu trasmessa dalle testate giornalistiche statunitensi e mondiali. Nel novembre 2001 forze statunitensi recuperarono una registrazione in una casa distrutta a Jalalabad, in Afghanistan, in cui bin Lāden parla a Khāled al-Ḥarbī: nella videoregistrazione bin Lāden ammette di aver saputo in anticipo degli attacchi.[160] La registrazione fu trasmessa da varie emittenti giornalistiche a partire dal 13 dicembre 2001; la distorsione delle immagini è stata attribuita ad artefatti causati dalla copia del nastro.[161] Il 27 dicembre 2001 fu pubblicato un secondo video di bin Lāden, in cui affermava che «il terrorismo contro gli Stati Uniti merita di essere lodato perché fu una risposta ad un'ingiustizia, avente lo scopo di forzare gli Stati Uniti a interrompere il suo sostegno a Israele, che uccide la nostra gente», senza però ammettere la responsabilità degli attacchi.[162] Poco prima delle elezioni presidenziali statunitensi del 2004, bin Lāden rivendicò pubblicamente, con una registrazione video, il coinvolgimento di al-Qāʿida negli attacchi agli Stati Uniti, ammettendo il proprio legame diretto con gli attentati; affermò che gli attacchi erano stati portati perché «siamo liberi [...] e vogliamo riottenere libertà per la nostra nazione. Così come voi indebolite la nostra sicurezza noi indeboliamo la vostra».[163] Osama bin Lāden afferma di aver personalmente diretto i 19 dirottatori:[164] nel video afferma che «concordammo assieme al comandante Muhammad Atta, che Allah abbia pietà di lui, che tutte le operazioni avrebbero dovuto essere completate in venti minuti, prima che Bush e la sua amministrazione se ne accorgessero».[158] Un altro video ottenuto da Al Jazeera nel settembre 2006 mostra Osama bin Lāden con Ramzi bin al-Shibh – il più delle volte scritto Ramzi Binelshibh – e due dirottatori, Hamza al-Ghamdi e Wa'il al-Shehri, mentre preparano gli attacchi.[165]

Khalid Shaykh Muhammad dopo la sua cattura in Pakistan

In un'intervista del 2002 con il giornalista di al Jazeera Yosri Foda, Khalid Shaykh Muhammad ammise il proprio coinvolgimento nella "operazione del santo Martedì", assieme a Ramzi bin al-Shibh.[166] Il Rapporto della Commissione sull'11 settembre ha determinato che l'animosità di Khalid Shaykh Muhammad, il «principale architetto» degli attacchi dell'11 settembre, verso gli Stati Uniti ebbe origine «non dalla sua esperienza di studente fatta lì, ma piuttosto dalla sua violenta opposizione alla politica estera statunitense in favore di Israele».[143] Mohammed Atta condivideva le stesse motivazioni di Khalid Shaykh Muhammad. Ralph Bodenstein, un ex-compagno di classe di Atta, lo descrisse come «molto imbevuto, veramente, [di idee] sulla difesa, da parte degli Stati Uniti, di queste politiche israeliane nella regione».[167] ʿAbd al-ʿAzīz al-ʿUmarī, dirottatore del volo 11 assieme a Mohamed Atta, affermò nel suo testamento video: «il mio gesto è un messaggio per coloro che mi hanno ascoltato e per coloro che mi hanno visto e, allo stesso tempo, è un messaggio agli infedeli, affinché lasciate la Penisola arabica sconfitti e che smettiate di dare una mano ai codardi ebrei in Palestina».[168] Khalid Shaykh Muhammad fu arrestato il 1º marzo 2003 a Rawalpindi, in Pakistan,[169] per poi essere detenuto definitivamente nel campo di detenzione di Guantanamo Bay, a Cuba. Durante le udienze condotte dagli Stati Uniti nel marzo 2007, che sono state «ampiamente criticate da avvocati e gruppi per i diritti umani in quanto falsi tribunali»,[170] Muhammad confessò nuovamente la propria responsabilità per gli attacchi: «ero il responsabile dell'operazione dell'11 settembre, dalla A alla Z».[170][171]

Nel "Sostituto di testimonianza di Khalid Shaykh Muhammad" del processo a Zakariyya Musawi, cinque persone furono identificate come quelle che conoscevano tutti i dettagli dell'operazione: Osama bin Laden, Khalid Shaykh Muhammad, Ramzi bin al-Shibh, Abu Turab al-Urdunni e Mohammed Atef. Fino al 2008, solo le figure di contorno furono processate o condannate in relazione agli attacchi; bin Lāden non fu ancora formalmente accusato degli attentati.[172] Il 26 settembre 2005, la Audiencia Nacional de España, corte nazionale spagnola, diretta dal giudice Baltasar Garzón, condannò Abu Dahdah a ventisette anni di prigione per cospirazione riguardo agli attentati dell'11 settembre e in qualità di membro dell'organizzazione terroristica al-Qāʿida. Allo stesso tempo, altri diciassette membri di al-Qāʿida ricevettero condanne tra i sei e gli undici anni.[173][174] Il 16 febbraio 2006, la corte suprema spagnola ridusse la pena di Abu Dahdah a dodici anni, in quanto considerò non provata la sua partecipazione alla cospirazione.[175]

Per la prima volta nella storia, tutti i velivoli civili degli Stati Uniti e di altri Paesi (come il Canada), che non effettuavano servizi di emergenza, furono immediatamente fatti atterrare, recando grossi disagi a decine di migliaia di passeggeri in tutto il mondo.[176] La Federal Aviation Administration chiuse i cieli statunitensi a tutti i voli internazionali, obbligando gli aerei a dirigersi su aeroporti di altri paesi; il Canada fu uno dei paesi maggiormente toccati da questo fenomeno e lanciò l'Operazione Nastro Giallo per gestire l'enorme numero di aerei a terra e di passeggeri bloccati negli aeroporti.[177]

Il Consiglio della NATO dichiarò che gli attacchi agli Stati Uniti erano considerati un attentato a tutti i Paesi della Nato e che, in quanto tali, soddisfacevano l'Articolo 5 del trattato NATO.[178] Subito dopo gli attacchi, l'amministrazione Bush dichiarò la Guerra al terrorismo, con l'obiettivo dichiarato di portare Osama bin Laden e al-Qāʿida davanti alla giustizia e di prevenire la costituzione di altre reti terroristiche. I mezzi previsti per perseguire questi obiettivi includevano sanzioni economiche e interventi militari contro gli Stati che avessero dato l'impressione di ospitare terroristi, aumenti dell'attività di sorveglianza su scala globale e condivisione delle informazioni ottenute dai servizi segreti. L'invasione statunitense dell'Afghanistan (2001) e il rovesciamento del governo dei Talebani da parte di una coalizione guidata dagli Stati Uniti fu la seconda operazione della guerra effettuata al di fuori dei confini statunitensi, in ordine di grandezza la più vasta tra quelle direttamente collegate al terrorismo. Gli Stati Uniti non furono l'unica nazione ad aumentare la propria preparazione militare: stati come le Filippine e l'Indonesia dovevano infatti affrontare le minacce portate dal terrorismo islamista interno.[179][180] Subito dopo, alcuni esponenti dell'amministrazione statunitense specularono sul coinvolgimento di Saddam Hussein, il presidente iracheno, con al-Qāʿida.[181] Questi sospetti si rivelarono successivamente infondati, ma quest'associazione contribuì a far accettare all'opinione pubblica l'invasione dell'Iraq del 2003.[181]

Conseguenze

Le conseguenze degli attentati dell'11 settembre includono risposte immediate all'evento, tra cui reazioni interne, crimini d'odio, reazioni dei musulmani residenti negli USA, reazioni internazionali e militari. In seguito fu rapidamente istituito al Congresso un vasto programma di risarcimento per compensare le vittime e le famiglie delle vittime degli attentati dell'11 settembre.[182][183]

Risposta immediata

Il presidente George W. Bush venne informato degli attacchi a Sarasota, in Florida.
Otto ore dopo gli attacchi, Donald Rumsfeld, allora segretario della difesa, dichiarò "Il Pentagono funziona."

Alle 8:32 del mattino fu comunicato agli ufficiali della FAA che il volo 11 era stato dirottato e loro, a loro volta, notificarono il Comando di difesa aerospaziale nordamericano (NORAD). Il NORAD fece decollare due F-15 dalla base della guardia nazionale aerea di Otis in Massachusetts che presero il volo alle 8:53.[184] A causa della comunicazione lenta e confusa dei funzionari della FAA, il NORAD ebbe 9 minuti di preavviso che il volo 11 fosse stato dirottato e nessun avviso sugli altri voli prima dell'incidente.[184] Dopo che entrambe le Torri Gemelle furono colpite, altri caccia decollarono dalla base aeronautica di Langley in Virginia alle 9:30.[184] Alle 10:20 il vicepresidente Dick Cheney ordinò di abbattere qualsiasi aereo commerciale che potesse essere identificato come dirottato. Queste istruzioni non furono trasmesse in tempo perché i combattenti potessero agire.[184][185][186][187] Alcuni caccia decollarono senza munizioni, sapendo che, per evitare che i dirottatori colpissero i loro bersagli, i piloti avrebbero dovuto intercettare e far schiantare i loro caccia contro gli aerei dirottati, eventualmente lanciandosi all'ultimo momento.[188]

Per la prima volta nella storia degli Stati Uniti, venne invocato lo SCATANA,[189] bloccando così decine di migliaia di passeggeri in tutto il mondo.[190] Ben Sliney, nel suo primo giorno come National Operations Manager della FAA,[191] ordinò che lo spazio aereo americano fosse chiuso a tutti i voli internazionali, causando il respingimento o il reindirizzamento di circa cinquecento voli verso altri Paesi. Il Canada ricevette 226 dei voli deviati e lanciò l'Operazione Nastro Giallo per far fronte al gran numero di aerei a terra e passeggeri bloccati.[192]

Gli attacchi dell'11/9 ebbero effetti immediati sul popolo statunitense.[193] Molti poliziotti e soccorritori di tutto il Paese si congedarono dal proprio lavoro per recarsi a New York, per aiutare a recuperare i corpi dai resti contorti delle Torri Gemelle.[194] Le donazioni di sangue negli Stati Uniti aumentarono nelle settimane successive all'11 settembre.[195][196]

La morte di adulti negli attacchi causò la perdita di un genitore da parte di oltre 3.000 bambini.[197] Studi successivi documentarono le reazioni dei bambini a queste perdite effettive e alle temute perdite di vite umane, all'ambiente protettivo a seguito degli attacchi e agli effetti dei lavori di cura sui sopravvissuti.[198][199][200]

Reazioni dell'opinione pubblica statunitense

Discorso di George W. Bush alla nazione, 11 settembre 2001, 20:30 EDT
Bush fa delle osservazioni da Ground zero, 14 settembre 2001
Discorso del presidente George W. Bush davanti a una seduta congiunta del Congresso degli Stati Uniti d'America, 20 settembre 2001

A seguito degli attentati, l'indice di gradimento del presidente Bush salì fino all'86%.[201] Il 20 settembre 2001 il Presidente degli Stati Uniti parlò alla nazione e ad una seduta congiunta del Congresso, esponendo gli eventi del giorno degli attacchi, i successivi nove giorni di sforzi di salvataggio e ricostruzione e la sua risposta agli eventi. Anche il sindaco di New York Rudolph Giuliani ottenne un notevole gradimento a livello locale e nazionale in virtù del ruolo svolto.[202] Molti fondi furono immediatamente aperti per assistere finanziariamente i sopravvissuti e le famiglie delle vittime degli attacchi; al termine ultimo per la compensazione delle vittime, l'11 settembre 2003, erano state ricevute 2.833 richieste dalle famiglie delle vittime.[203] Subito dopo gli attacchi furono messi in atto i piani d'emergenza per l'evacuazione dei governanti e per la continuità del governo (la serie di atti necessari a garantire la prosecuzione delle funzioni governative in caso di attacco nucleare o simile).[176] Il fatto che gli Stati Uniti fossero in una condizione di continuità del Governo fu però comunicato al Congresso solo nel febbraio 2002.[204] Il Congresso passò l'Homeland Security Act del 2002, che istituì il Department of Homeland Security, la maggiore ristrutturazione dell'Amministrazione statunitense nella storia contemporanea. Il Congresso passò anche lo USA PATRIOT Act, affermando che sarebbe stato utile a individuare e perseguire il terrorismo e altri crimini; i gruppi per le libertà civili hanno però criticato il PATRIOT Act, affermando che esso permette agli organi di polizia di invadere la vita privata dei cittadini e che elimina il controllo da parte della magistratura sulla polizia e sui servizi segreti interni.[205][206][207] L'amministrazione Bush indicò gli attacchi dell'11 settembre per giustificare l'inizio di un'operazione segreta della National Security Agency volta a «intercettare comunicazioni via telefono ed e-mail tra gli Stati Uniti e persone all'estero senza mandato».[208]

Crimini d'odio

Un vigile del fuoco di New York osserva i resti della Torre Sud

Furono riportati numerosi incidenti di molestie e crimini d'odio contro mediorientali e persone "dall'aspetto mediorientale": si sono contati 645 episodi di violenza razziale nella settimana successiva agli attentati[209], saliti a 1.600 nell'anno successivo[210]; secondo Human Rights Watch, le modalità in cui queste violenze si espressero furono omicidi, assalti, incendi, vandalismi in luoghi di culto, danni alle proprietà private, minacce di morte e molestie in pubblico[211].

Furono coinvolti particolarmente Sikh, in quanto gli uomini sikh vestono un turbante, elemento essenziale dello stereotipo del musulmano negli Stati Uniti. Vi furono abusi verbali, attacchi a moschee e altre costruzioni religiose (tra cui un tempio induista) e aggressioni, tra cui un omicidio: Balbir Singh Sodhi, un Sikh, fu ucciso il 15 settembre, dopo essere stato scambiato per un musulmano.[212]

A seguito degli attacchi, 80 000 arabi e immigrati musulmani furono registrati e le loro impronte digitali schedate in base all'Alien Registration Act del 1940. Ottomila arabi e musulmani furono interrogati e cinquemila stranieri furono detenuti secondo la Joint Congressional Resolution 107-40, che autorizzava l'uso delle forze armate «per scoraggiare e prevenire atti di terrorismo internazionale contro gli Stati Uniti».[213]

Risposta dei musulmano-americani

Le organizzazioni musulmane negli Stati Uniti si affrettarono a condannare gli attentati e invitarono "i musulmani americani a farsi avanti con le loro capacità e risorse per aiutare ad alleviare le sofferenze delle persone colpite e delle loro famiglie"[214]. Queste organizzazioni includevano la Società islamica del Nord America, l'Alleanza musulmana americana, il Consiglio musulmano-americano, il Consiglio per le relazioni americano-islamiche, il Circolo islamico del Nord America e la Shari'a Scholars Association of North America. Insieme alle donazioni monetarie, molte organizzazioni islamiche lanciarono raccolte di sangue e fornirono assistenza medica, cibo e riparo alle vittime[215][216][217].

Risposta internazionale

Un vigile del fuoco solitario in piedi tra i detriti e il fumo a New York

Gli attacchi furono condannati da governi di tutto il mondo e molte nazioni offrirono aiuti e solidarietà.[218] I governanti della maggior parte dei Paesi del Medio Oriente, incluso l'Afghanistan, condannarono gli attacchi. L'Iraq fece eccezione, in quanto diffuse immediatamente una dichiarazione in cui si affermava che «i cowboys americani stavano cogliendo il frutto dei loro crimini contro l'umanità».[219] Un'altra eccezione, molto evidenziata dai mass media, furono i festeggiamenti da parte di alcuni Palestinesi, nonostante il presidente dell'Autorità Nazionale Palestinese (ANP), Yasser Arafat, avesse condannato gli attacchi.[220][221][222] Come negli Stati Uniti, le conseguenze degli attacchi videro aumentare le tensioni in altri Paesi tra musulmani e non musulmani.[223] Circa un mese dopo gli attacchi, gli Stati Uniti d'America guidarono una vasta coalizione nell'invasione dell'Afghanistan, allo scopo di rovesciare il governo dei Talebani, accusati di ospitare al-Qāʿida.[224] Le autorità del Pakistan si schierarono nettamente al fianco degli Stati Uniti contro i Talebani e al-Qāʿida: i pakistani misero a disposizione degli Stati Uniti diversi aeroporti militari e basi per gli attacchi contro il governo talebano e arrestarono più di 600 presunti membri di al-Qāʿida, che poi consegnarono agli statunitensi.[225]

La risoluzione 1368 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite condannò gli attacchi ed espresse la disponibilità a prendere tutte le misure necessarie per rispondere e combattere tutte le forme di terrorismo in conformità con la propria Carta.[226] Diversi Paesi - tra cui Regno Unito, India, Australia, Francia, Germania, Indonesia, Cina, Canada, Russia, Pakistan, Giordania, Mauritius, Uganda e Zimbabwe - promulgarono legislazioni "antiterroristiche" e congelarono i conti in banca di persone che sospettavano avessero legami con al-Qāʿida.[227][228] I servizi segreti e le forze di polizia di alcuni Paesi - tra cui Italia, Malaysia, Indonesia e Filippine - arrestarono persone che indicavano come sospetti terroristi con lo scopo dichiarato di distruggere le cellule terroristiche in tutto il mondo.[229][230]

Negli Stati Uniti questi fatti generarono alcune controversie; critici come il Bill of Rights Defense Committee affermarono che le tradizionali limitazioni sul potere di sorveglianza federale (come il controllo degli assembramenti pubblici del COINTELPRO) erano stati "smantellati" dallo USA PATRIOT Act.[231] Organizzazioni per le libertà civili come la American Civil Liberties Union e il gruppo di pressione "Liberty" affermarono che anche alcune protezioni dei diritti civili erano state aggirate.[232][233] Gli Stati Uniti aprirono un centro di detenzione nella baia di Guantánamo, a Cuba, per detenervi quelli che definirono "combattenti nemici illegittimi". La legittimità di tali detenzioni è stata messa in discussione dall'Unione europea, dall'Organizzazione degli Stati Americani e da Amnesty International, tra gli altri.[234][235][236]

All'indomani degli attacchi, decine di migliaia di persone tentarono di fuggire dall'Afghanistan a causa della possibilità di una rappresaglia militare da parte degli Stati Uniti. Il Pakistan, già casa di numerosi rifugiati afgani per via dei precedenti conflitti, chiuse il confine con l'Afghanistan il 17 settembre 2001. Circa un mese dopo gli attacchi, gli Stati Uniti guidarono un'ampia coalizione di forze internazionali per rovesciare il regime talebano dall'Afghanistan per aver ospitato al-Qaida.[237] Sebbene le autorità pakistane inizialmente fossero riluttanti ad allinearsi con gli Stati Uniti contro i talebani, permisero alla coalizione di accedere alle proprie basi militari e arrestarono e consegnarono agli Stati Uniti oltre 600 sospetti membri di al-Qaeda.[238][239]

Il Primo ministro britannico Tony Blair affermò che la Gran Bretagna fosse "spalla a spalla" con gli Stati Uniti.[240] Pochi giorni dopo, Blair volò a Washington, per affermare la solidarietà britannica con gli Stati Uniti. In un discorso al Congresso, nove giorni dopo gli attacchi, a cui Blair partecipò come ospite, il presidente Bush dichiarò "L'America non ha un amico più vero della Gran Bretagna".[241] Successivamente, il Primo ministro Blair intraprese due mesi di diplomazia per raccogliere il sostegno internazionale all'azione militare (54 incontri con i leader mondiali e percorse più di 60.000 km).[242]

Il 25 settembre 2001, il quinto presidente dell'Iran, Mohammad Khatami incontrò il ministro degli Esteri britannico, Jack Straw, e disse: "L'Iran comprende pienamente i sentimenti degli americani riguardo agli attacchi terroristici a New York e Washington l'11 settembre", disse anche che sebbene le amministrazioni americane siano state nella migliore delle ipotesi indifferenti riguardo alle operazioni terroristiche in Iran (dal 1979), gli iraniani invece si sono sentiti diversamente e hanno espresso i loro sentimenti di solidarietà con gli americani in lutto nei tragici incidenti nelle due città. Affermò inoltre che "le nazioni non dovrebbero essere punite al posto dei terroristi".[243] Secondo il sito web di Radio Farda, quando venne resa pubblica la notizia degli attacchi, alcuni cittadini iraniani si radunarono dinanzi all'Ambasciata svizzera a Teheran, che funge da potere di protezione degli Stati Uniti in Iran (Ufficio di protezione degli interessi degli Stati Uniti in Iran), per esprimere la loro simpatia e alcuni di loro accesero candele come simbolo di lutto. Questa notizia di Radio Farda afferma anche che nel 2011, in occasione dell'anniversario degli attacchi, il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti pubblicò un post sul suo blog, in cui ringraziava il popolo iraniano per la sua simpatia e che non avrebbe mai dimenticato la gentilezza del popolo iraniano in quei giorni difficili.[244] Dopo gli attacchi, sia il presidente[245][246] che il leader supremo dell'Iran condannarono gli attacchi. La BBC e il Time pubblicarono rapporti sui siti web iraniani, che invitavano i propri cittadini a tenere veglie a lume di candela per le vittime.[247][248] Secondo il Politico Magazine, a seguito degli attacchi, Sayyed Ali Khamenei, il leader supremo dell'Iran, "sospese temporaneamente i soliti canti della "Death to America" ("Morte all'America") alle preghiere del venerdì".[249]

In un discorso dell'Imam ismaelita al Nobel Institute nel 2005, Karim Aga Khan IV dichiarò che "l'attacco dell'11 settembre contro gli Stati Uniti era una conseguenza diretta della comunità internazionale che ignorava la tragedia umana che era l'Afghanistan in quel momento".[250]

A settembre 2001, poco dopo gli attacchi, tifosi di calcio greci bruciarono una bandiera israeliana e tentarono senza successo di bruciare una bandiera statunitense. Oltre a ciò, i tifosi fischiarono durante un momento di silenzio per le vittime degli attacchi.[251]

Operazioni militari

Lo stesso argomento in dettaglio: Guerra al terrorismo.

Alle 2:40 del pomeriggio dell'11 settembre, il segretario alla Difesa Donald Rumsfeld stava impartendo rapidi ordini ai suoi aiutanti per cercare prove del coinvolgimento iracheno. Secondo le note prese dal funzionario della politica Stephen Cambone, Rumsfeld chiese: "Le migliori informazioni in fretta. Valuta se SH [Saddam Hussein] ha colpito abbastanza bene allo stesso tempo. Non solo UBL" [Osama bin Laden].[252] Le note di Cambone citavano Rumsfeld che diceva: "Abbiamo la necessità di muoverci rapidamente - e l'esigenza di obiettivi a breve termine - diventiamo massicci - spazziamo via tutto. Cose relative e non."[253][254] In una riunione a Camp David il 15 settembre, l'amministrazione Bush respinse l'idea di attaccare l'Iraq in risposta all'11 settembre.[255] Tuttavia, in seguito, invasero il Paese con gli alleati, citando "il sostegno di Saddam Hussein al terrorismo".[256] All'epoca ben 7 americani su 10 credevano che il presidente iracheno avesse avuto un ruolo negli attacchi dell'11 settembre.[257] Tre anni dopo, Bush ammise che non fosse vero.[258]

Soldati statunitensi in Afghanistan

Il Consiglio della NATO dichiarò che gli attacchi terroristici contro gli Stati Uniti fossero un attacco a tutte le nazioni della NATO che soddisfacevano l'articolo 5 della Carta della NATO. Ciò segnò la prima invocazione dell'articolo 5, che era stata scritta durante la Guerra Fredda con l'idea di un attacco dell'Unione Sovietica.[259] Il primo ministro australiano John Howard, che era a Washington, durante gli attacchi, invocò l'articolo IV del trattato ANZUS.[260] L'amministrazione Bush annunciò una guerra al terrorismo, con l'obiettivo dichiarato di consegnare Bin Laden e al-Qaida alla giustizia e prevenire l'emergere di altre reti terroristiche.[261] Questi obiettivi sarebbero raggiunti imponendo sanzioni economiche e militari contro gli stati ospitanti di terroristi e aumentando la sorveglianza globale e la condivisione di informazioni.[262]

Il 14 settembre 2001, il Congresso degli Stati Uniti approvò l'autorizzazione all'uso della forza militare contro i terroristi. Ancora in vigore, garantisce al Presidente l'autorità di usare tutta la "forza necessaria e appropriata" contro coloro definiti di aver "pianificato, autorizzato, commesso o aiutato" gli attacchi dell'11 settembre o che avevano ospitato tali persone o gruppi.[263]

Il 7 ottobre 2001, la guerra in Afghanistan iniziò quando le forze statunitensi e britanniche iniziarono campagne di bombardamento aereo contro i talebani e i campi di al-Qaida, poi, in seguito, invasero l'Afghanistan con truppe di terra delle forze speciali.[264] Ciò alla fine portò al rovesciamento del dominio talebano in Afghanistan con la caduta di Kandahar il 7 dicembre 2001, da parte delle forze della coalizione a guida statunitense.[265] Il conflitto in Afghanistan tra l'insurrezione talebana e le forze afghane sostenute dall'Operazione Sostegno Risoluto della NATO si è concluso nel 2021 con il ritiro delle truppe statunitensi e della coalizione NATO dall'Afghanistan e la successiva ripresa del potere da parte dei Talebani. Le Filippine e l'Indonesia, tra le altre nazioni con conflitti interni con il terrorismo islamico, aumentarono la loro prontezza militare.[266][267]

Le forze militari degli Stati Uniti d'America e della Repubblica islamica dell'Iran cooperarono tra loro per rovesciare il regime talebano che aveva avuto conflitti con il governo iraniano.[249] La Forza Quds iraniana aiutò le forze statunitensi e i ribelli afgani nella rivolta del 2001 ad Herat.[268][269][270]

Vladimir Putin (a destra) e sua moglie partecipano a un servizio di commemorazione per le vittime degli attacchi terroristici, 16 novembre 2001.

Effetti a lungo termine

Effetti sulla salute

Migliaia di tonnellate di detriti tossici risultanti dal collasso delle Torri gemelle contenevano più di 2.500 contaminanti, tra cui alcuni elementi noti per essere cancerogeni, tra cui amianto.[271][272] Sono testimoniati diversi casi di malattie debilitanti tra coloro che si occuparono dei soccorsi e dei lavori di rimozione delle macerie, malattie ritenute collegate direttamente all'esposizione ai detriti.[273][274] Alcune di queste conseguenze sanitarie hanno toccato anche alcuni residenti, studenti e impiegati della Lower Manhattan e della vicina Chinatown.[275] Molti decessi sono stati collegati alla polvere tossica causata dal collasso del World Trade Center e i nomi delle vittime saranno inclusi nel memoriale del WTC.[276] Esistono alcuni studi scientifici che suggeriscono che l'esposizione a diversi prodotti tossici dispersi nell'aria potrebbe avere effetti negativi sullo sviluppo del feto: per questo motivo, un centro studi per la salute ambientale dei bambini sta studiando i figli delle donne incinte all'epoca degli attacchi e che vivevano o lavoravano in prossimità delle torri del WTC.[277] Un totale di 33.000 fra poliziotti, vigili del fuoco, soccorritori e membri della comunità è stato curato per le ferite e le malattie derivanti dall'attentato, fra cui malattie respiratorie, disturbi mentali quali depressione e stress post-traumatico, problemi gastrointestinali e almeno 4.166 casi di cancro. Un maggior numero di poliziotti sono morti di malattie collegate all'attacco che non per il crollo stesso.[278][279] Il conduttore televisivo Jon Stewart assieme ad altri riuscì a far passare una legge in Congresso nel 2015 che ha esteso in via definitiva la copertura medica dei soccorritori e ha aggiunto altri 5 anni al piano di compensazione delle vittime.[279]

Conseguenze economiche

La tabella mostra che gli attacchi dell'11 settembre ebbero un effetto importante sull'economia di New York (in rosso), rispetto all'economia generale degli Stati Uniti (in blu).
Da Manhattan, il 12 settembre 2001, si sollevava una lunga voluta di fumo

Gli attacchi ebbero un significativo impatto sui mercati finanziari degli Stati Uniti e mondiali. La borsa di New York (New York Stock Exchange, NYSE), l'American Stock Exchange e il NASDAQ non aprirono l'11 settembre e rimasero chiusi fino al 17 settembre. Quando i mercati riaprirono, l'indice Dow Jones precipitò di 684 punti, pari al 7,1%, fino a 8 921, la maggiore flessione mai avuta in un solo giorno.[280] Alla fine della settimana, l'indice Dow Jones era precipitato a 1 369,7 punti (14,3%), la maggiore caduta settimanale della sua storia.[281] Le azioni statunitensi persero 1 400 miliardi di dollari di valore in quella settimana.[281] A New York si contarono circa 430 000 posti di lavoro e 2,8 miliardi di dollari di stipendi persi nei tre mesi seguenti agli attacchi; gli effetti economici si concentrarono sui settori economici delle esportazioni della città.[282] Si stima che la perdita in termini di prodotto interno lordo sperimentata dall'economia newyorkese negli ultimi tre mesi del 2001 e per tutto il 2002 ammonti a 27,3 miliardi di dollari. Il governo federale concesse immediatamente 11,2 miliardi di dollari al governo cittadino nel settembre 2001 e 10,5 miliardi di dollari all'inizio del 2002, per incentivare lo sviluppo economico e la ricostruzione delle infrastrutture.[283]

Gli attacchi ebbero un grosso impatto anche sulle piccole imprese di Lower Manhattan, poste nelle vicinanze del World Trade Center; circa 18 000 di queste imprese furono distrutte o trasferite dopo gli attacchi. L'agenzia federale che gestisce i fondi per le piccole imprese, la Small Business Administration, fornì dei prestiti mentre il governo federale diede assistenza alle piccole imprese danneggiate dagli attacchi tramite il Community Development Block Grants e l'Economic Injury Disaster Loans.[283] Quasi tre milioni di metri quadri di uffici a Lower Manhattan furono danneggiati o distrutti.[284] Gli studi economici sugli effetti degli attacchi hanno confermato che il loro impatto sul mercato degli uffici di Manhattan e su quello dei lavori da ufficio è stato inferiore a quanto previsto, a causa della necessità di un'interazione faccia a faccia nell'ambito dei servizi finanziari.[285][286]

Il bilancio e il debito USA aumentano nel periodo 2001-2008

Lo spazio aereo nordamericano fu chiuso per diversi giorni dopo gli attacchi e i voli di linea sperimentarono un calo dopo la sua riapertura. Gli attacchi causarono un taglio di circa il 20% della capacità di viaggi aerei, esacerbando i problemi delle compagnie aeree statunitensi.[287]

Gli attacchi dell'11 settembre portarono anche alle guerre statunitensi in Afghanistan e Iraq,[288] nonché a ulteriori spese per la sicurezza interna, per un totale di almeno $5 trilioni.[289]

Influenza culturale

L'impatto dell'11 settembre si estende oltre la geopolitica nella società e nella cultura in generale. Le risposte immediate all'11 settembre includevano una maggiore attenzione alla vita familiare e al tempo trascorso con la famiglia, una maggiore presenza della chiesa e maggiori espressioni di patriottismo come il volo delle bandiere.[290] L'industria radiofonica rispose rimuovendo alcune canzoni dalle playlist e gli attacchi vennero successivamente utilizzati come elementi di sottofondo, narrativa o elementi tematici in film, televisione, musica e letteratura. Tra i romanzi ispirati o direttamente influenzati dall'11/9 vi è Crazy Gran di Gary Botting, che parla di una ragazza che scopre un legame familiare diretto con i terroristi. L'azione inizia alle "9, martedì 9/11/2001" e continua per una settimana straziante mentre suo zio tenta di zittirla, applicando i precetti della sharia.[291] Programmi televisivi già in corso e sviluppati dopo l'11 settembre rispecchiarono preoccupazioni culturali post-11 settembre.[292] Le Teorie del complotto sull'attentato al World Trade Center dell'11 settembre 2001 sono divenute fenomeni sociali, nonostante la mancanza di supporto da parte di scienziati, ingegneri e storici esperti.[293] L'11 settembre ha avuto anche un grande impatto sulla fede religiosa di molti individui; per alcuni l'ha rafforzata, trovando consolazione per far fronte alla perdita dei propri cari e superare il dolore; altri iniziarono a mettere in discussione la loro fede o la persero del tutto, perché non potevano conciliarla con la loro visione.[294][295]

La cultura dell'America che segue gli attacchi è nota per la maggiore sicurezza e una maggiore domanda, così come la paranoia e l'ansia per ipotizzati futuri attacchi terroristici. Gli psicologi hanno anche confermato che ci fu una maggiore quantità di ansia nazionale nei viaggi aerei commerciali.[296]

Politiche governative verso il terrorismo

A seguito degli attacchi, molti governi in tutto il mondo approvarono legislazioni per combattere il terrorismo.[297] In Germania, dove molti dei terroristi dell'11 settembre avevano risieduto e approfittato delle politiche liberali in materia di asilo di quel paese, furono emanati due importanti pacchetti antiterrorismo. Il primo rimosse scappatoie legali che consentivano ai terroristi di vivere e raccogliere fondi in Germania. Il secondo riguardava l'efficacia e la comunicazione dell'intelligence e delle forze dell'ordine.[298] Il Canada approvò la Legge antiterrorismo, la prima del paese.[299] Il Regno Unito approvò l'Anti-terrorism, Crime and Security Act 2001 e il Prevention of Terrorism Act 2005.[300][301] La Nuova Zelanda emanò il Terrorism Suppression Act 2002.[302]

Negli Stati Uniti, venne creato il Dipartimento della sicurezza interna dalla Legge sulla sicurezza nazionale per coordinare gli sforzi nazionali antiterrorismo. La USA PATRIOT Act conferì al governo federale maggiori poteri, inclusa l'autorità di detenere sospetti terroristi stranieri per una settimana senza spese, per monitorare le comunicazioni telefoniche, la posta elettronica e l'uso di Internet da parte di sospetti terroristi e di perseguirli senza limiti di tempo. La FAA ordinò che le cabine di pilotaggio degli aerei fossero rinforzate per impedire ai terroristi di ottenere il controllo degli aerei, e assegnò i marescialli del cielo ai voli. Inoltre, la legge sulla sicurezza aerea e dei trasporti rese il governo federale, e non gli aeroporti, responsabile della sicurezza aeroportuale. La legge creò l'Amministrazione per la sicurezza dei trasporti per ispezionare passeggeri e bagagli, causando lunghi ritardi e preoccupazioni sulla riservatezza dei passeggeri.[303] Dopo che i sospetti abusi del Patriot Act statunitense furono portati alla luce da Edward Snowden, a giugno 2013, grazie ad articoli sulla raccolta di registri delle chiamate americane da parte della NSA e del programma PRISM, il rappresentante Jim Sensenbrenner, repubblicano del Wisconsin, che introdusse il Patriot Act nel 2001, dichiarò che la National Security Agency avesse oltrepassato i limiti.[304][305]

Indagini

FBI

Lo stesso argomento in dettaglio: Dirottatori degli attentati dell'11 settembre 2001.

Subito dopo gli attacchi, il Federal Bureau of Investigation (FBI) avviò la PENTTBOM, la più grande indagine criminale nella storia degli Stati Uniti. Al suo apice, oltre la metà degli agenti dell'FBI lavorava alle indagini e seguì mezzo milione di piste.[306] L'FBI concluse che c'erano prove "chiare e irrefutabili" che collegavano al-Qaida e bin Laden agli attacchi.[307]

L'FBI fu in grado di identificare rapidamente i dirottatori, incluso il leader Mohamed Atta, quando i suoi bagagli furono scoperti all'aeroporto di Logan di Boston. Atta era stato costretto a imbarcare nella stiva due delle sue tre valigie a causa delle limitazioni di spazio sul volo pendolare da 19 posti che aveva preso a Boston. A causa di una nuova politica istituita per prevenire i ritardi dei voli, i bagagli non sono riusciti a salire a bordo del volo 11 dell'American Airlines come previsto. Il bagaglio conteneva i nomi, i compiti e le connessioni di al-Qaida dei dirottatori. "Aveva tutti questi documenti in lingua araba che costituivano la Stele di Rosetta dell'indagine", affermò un agente dell'FBI.[308] A poche ore dagli attacchi, l'FBI rese noti i nomi e in molti casi i dettagli personali dei piloti e dirottatori sospetti.[309][310] Il 27 settembre 2001, pubblicarono le foto di tutti i 19 dirottatori, insieme alle informazioni su possibili nazionalità e pseudonimi.[311] Quindici uomini provenivano dall'Arabia Saudita, due dagli Emirati Arabi Uniti, uno dall'Egitto e uno dal Libano.[312]

A mezzogiorno, la National Security Agency e le agenzie di intelligence tedesche avevano intercettato le comunicazioni che indicavano Osama bin Laden.[313] Si sapeva che due dei dirottatori avevano viaggiato con un associato di bin Laden in Malesia nel 2000[314] e che il dirottatore Mohamed Atta era già stato in Afghanistan.[315] Lui e altri facevano parte di una cellula terroristica ad Amburgo.[316] Venne scoperto che uno dei membri della cellula di Amburgo era in comunicazione con Khalid Shaykh Muhammad, identificato come membro di al Qaida.[317]

Le autorità degli Stati Uniti e del Regno Unito ottennero anche intercettazioni elettroniche, tra cui conversazioni telefoniche e trasferimenti bancari elettronici, che indicavano che Mohammed Atef, un deputato di Bin Laden, fosse una figura chiave nella pianificazione degli attacchi dell'11 settembre. Si ottennero anche intercettazioni che rivelarono conversazioni avute luogo alcuni giorni prima dell'11 settembre tra bin Laden e un associato in Pakistan. In quelle conversazioni, i due si riferivano a "un incidente che avrebbe avuto luogo in America intorno all'11 settembre" e discutevano di potenziali ripercussioni. In un'altra conversazione con un associato in Afghanistan, bin Laden discusse della "portata e degli effetti di un'imminente operazione". Queste conversazioni non menzionavano specificamente il World Trade Center, il Pentagono o altri dettagli.[318]

L'FBI non registrò i 2.977 decessi causati dagli attacchi nel suo indice annuale dei crimini violenti per il 2001. In una dichiarazione di non responsabilità, l'FBI ammise che "il numero di decessi fosse così grande che la combinazione con le tradizionali statistiche sulla criminalità avrebbe avuto un effetto anomalo che distorceva erroneamente tutti i tipi di misurazioni nelle analisi del programma".[319] Anche la città di New York non incluse i decessi nelle proprie statistiche annuali sulla criminalità per il 2001, per non falsare i dati.[320]

Indagine interna della CIA

L'Ispettore Generale della CIA condusse un'indagine interna sulle prestazioni della CIA prima dell'11 settembre e fu estremamente critico nei confronti dei funzionari anziani della CIA per non aver fatto tutto ciò che era possibile contro il terrorismo, in particolare per non essere riusciti a fermare due dei dirottatori dell'11 settembre, Nawaf al-Hazmi e Khalid al-Mihdhar, al loro ingresso negli Stati Uniti, e per non aver condiviso le informazioni su di loro con l'FBI.[321]

Nel maggio 2007, senatori appartenenti sia al Partito Democratico che a quello Repubblicano hanno sostenuto una proposta di legge che avrebbe reso pubblico un rapporto d'indagine interno alla CIA concernente le responsabilità del personale CIA prima e dopo gli attacchi. Completato nel 2005, il rapporto non è mai stato reso pubblico nei suoi dettagli.[322] L'ipotesi che siano stati sottovalutati alcuni rapporti della CIA che forse avrebbero consentito di evitare l'attentato, è anche la tesi del film-documentario Fahrenheit 9/11 del regista-giornalista Michael Moore.

Inchiesta congressuale

A febbraio 2002, il Select Committee on Intelligence e la House Permanent Select Committee on Intelligence formarono un'indagine congiunta sulle prestazioni della comunità di intelligence americana.[323] Il loro rapporto di 832 pagine pubblicato a dicembre 2002[324] descriveva in dettaglio i fallimenti dell'FBI e della CIA nell'uso delle informazioni disponibili, compresi i terroristi che la CIA sapeva che fossero negli Stati Uniti.[325] L'indagine congiunta sviluppò le proprie informazioni sul possibile coinvolgimento di funzionari del governo dell'Arabia Saudita da fonti non classificate.[326] Tuttavia, l'amministrazione Bush richiese che 28 pagine correlate restassero classificate.[325] A dicembre 2002, il presidente dell'inchiesta Bob Graham (D) rivelò in un'intervista che "c'erano prove che c'erano governi stranieri coinvolti nel facilitare le attività di almeno un paio dei terroristi negli Stati Uniti".[327] Le famiglie delle vittime dell'11 settembre furono frustrate dalle domande senza risposta e dal materiale censurato dall'inchiesta del Congresso e richiesero una commissione indipendente.[325] Le famiglie delle vittime dell'11 settembre,[328] i membri del Congresso[329][330] e il governo dell'Arabia Saudita stanno ancora chiedendo la pubblicazione dei documenti.[331][332] A giugno 2016, il capo della CIA John Brennan afferma che 28 pagine redatte di un'indagine congressuale sull'11 settembre saranno presto rese pubbliche e che dimostreranno che il governo dell'Arabia Saudita non avesse avuto alcun coinvolgimento negli attacchi dell'11 settembre.[333]

A settembre 2016, il Congresso ha approvato la legge sulla giustizia contro gli sponsor del terrorismo (Justice Against Sponsors of Terrorism Act) che consentirebbe ai parenti delle vittime degli attentati dell'11 settembre di denunciare l'Arabia Saudita per il presunto ruolo del governo negli attacchi.[334][335][336]

"9/11 Commission"

La Commissione d'indagine sugli attentati dell'11 settembre 2001, anche nota come "9/11 Commission" e diretta dall'ex-governatore del New Jersey, Thomas Kean, fu istituita nel tardo 2002 per preparare una ricostruzione completa dei fatti riguardanti l'attacco, analizzando anche lo stato di preparazione e l'immediata reazione ad essi. Il 22 luglio 2004, la 9/11 Commission pubblicò il Rapporto della Commissione sull'11 settembre. La Commissione e il suo rapporto hanno ricevuto diverse critiche.[337][338]

National Institute of Standards and Technology (NIST)

Lo stesso argomento in dettaglio: Seven World Trade Center.
Punti di impatto sulle Torri gemelle

Un'indagine federale sulle caratteristiche tecniche e di resistenza agli incendi connesse con il collasso delle Torri gemelle e del WTC 7 fu condotta dal National Institute of Standards and Technology (NIST) del Dipartimento del commercio degli Stati Uniti. Questa indagine aveva il compito di trovare il motivo del collasso degli edifici, il numero di morti e feriti causati, oltre che le procedure collegate alla progettazione e alla gestione del World Trade Center.[339]

Il rapporto concluse che i rivestimenti antincendio delle infrastrutture in acciaio furono spazzati via dagli impatti degli aerei e che, se questo non fosse accaduto, le torri sarebbero probabilmente rimaste in piedi.[340]

Gene Corley, direttore dell'indagine originale, commentò che «le torri si comportarono in maniera impressionante. Non furono gli aerei dei terroristi ad abbattere gli edifici; fu l'incendio successivo. Fu dimostrato che era possibile abbattere due terzi delle colonne di una torre e l'edificio sarebbe restato in piedi».[341] Il fuoco indebolì le travature di sostegno dei piani, facendole piegare verso il basso, tirando così le colonne in acciaio esterne che si piegarono verso l'interno. Con le colonne portanti danneggiate, le colonne esterne piegate non furono più in grado di sostenere gli edifici, causandone il collasso. Il rapporto afferma inoltre che le trombe delle scale non erano adeguatamente rinforzate per funzionare da via di fuga per le persone al di sopra della zona di impatto.[342][343] Questo fu confermato da uno studio indipendente della Purdue University.[344] I risultati dell'indagine del NIST sul WTC 7 sono stati pubblicati il 21 agosto 2008: il crollo dell'edificio è stato causato dalla dilatazione termica prodotta dagli incendi che divamparono incontrollati per ore, e che hanno in particolare interessato l'acciaio della colonna primaria numero 79, il cui cedimento ha dato inizio ad un collasso progressivo delle strutture portanti vicine.[88]

Presunto ruolo saudita

A luglio 2016, l'amministrazione Obama rese noto un documento, compilato dagli investigatori statunitensi Dana Lesemann e Michael Jacobson, noto come "File 17",[345] che conteneva una lista di nomi di tre dozzine di persone, tra cui i sospetti ufficiali dell'intelligence saudita collegati all'ambasciata dell'Arabia Saudita a Washington,[346] che collega quindi, l'Arabia Saudita ai dirottatori.[347][348]

Responsabilità civile e penale

Responsabilità penale

Le famiglie di 800 vittime hanno depositato presso un tribunale di Manhattan una causa contro funzionari sauditi che sono stati denunciati, accusati di complicità negli attentati per aver aiutato i dirottatori Salem al-Hazmi e Khalid Al-Mihdhar 18 mesi prima dell'attacco.[349]
Gli uomini in una prigione negli Stati Uniti accusati per gli attacchi dell'11 settembre sono cinque: il kuwaitiano Khalid Shaykh Muhammad, ritenuto l'architetto della strage, quello che già nel 1996 illustrò il piano a Osama Bin Laden e nel 2007 dichiarò di essere «responsabile dell'operazione dalla A alla Z»; lo yemenita Walid bin Attash, capo dei campi paramilitari di Al-Qaida in Afghanistan, ha fornito simulatori di volo e notizie sulle compagnie aeree; lo yemenita Ramzi bin al-Shibh, cellula Al Qaida di Amburgo, ha iscritto i dirottatori nelle scuole di volo americane; il pachistano Ammar al-Baluchi, imputato perché ha portato nove terroristi negli Stati Uniti, li ha mantenuti e inviato 120000 dollari americani. Il saudita Mustafa al-Hawsawi, che procurava contanti, carte di credito e abiti occidentali.

Responsabilità civile

Sono tuttora in atto procedimenti legali per il rimborso dei costi delle cure per le malattie connesse agli attentati. Il 17 ottobre 2006, il giudice federale Alvin Hellerstein annullò il rifiuto della municipalità di New York di pagare i costi dell'assistenza sanitaria ai soccorritori, permettendo così numerosi processi contro l'amministrazione cittadina.[350] Ufficiali governativi sono stati censurati per aver spinto le persone a tornare a Lower Manhattan nelle settimane successive agli attacchi; l'amministratrice della Environmental Protection Agency ("Agenzia per la protezione dell'ambiente", EPA) nel periodo immediatamente successivo agli attacchi, Christine Todd Whitman, fu pesantemente criticata per aver affermato scorrettamente che l'area era sicura dal punto di vista ambientale.[351] Il presidente Bush fu anche criticato per aver interferito con le interpretazioni e i pareri dell'EPA riguardo alla qualità dell'aria successivamente agli attacchi.[352] Inoltre, il sindaco Giuliani fu criticato per aver sollecitato il personale del settore finanziario a tornare rapidamente nell'area vasta attorno a Wall Street.[353]

Ricostruzioni

Il giorno degli attacchi, Giuliani affermò: «Ricostruiremo. Ne usciremo più forti di prima, politicamente più forti, economicamente più forti. La skyline tornerà ad essere nuovamente completa».[354] La rimozione dei detriti terminò ufficialmente nel maggio 2002.[355] La Lower Manhattan Development Corporation, incaricata della ricostruzione del sito del World Trade Center, è stata criticata per aver compiuto poco con i notevoli fondi destinati alla ricostruzione.[356][357] Uno degli edifici completamente distrutti, il 7 World Trade Center, ha una nuova torre uffici, completata nel 2006; il One World Trade Center, precedentemente Freedom Tower, la cui costruzione è iniziata il 27 aprile 2006, è stato terminato nel giugno 2013. Con un'altezza di 1 776 piedi (541 metri e 32 cm) è il settimo tra i grattacieli più alti del mondo. Il numero 1 776 simboleggia l'anno della dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti d'America.

La sezione danneggiata del Pentagono fu ricostruita e rioccupata entro un anno dagli attacchi.[358]

Monumenti

Le fondamenta delle torri gemelle trasformate in fontane per il National September 11 Memorial & Museum
Il Tribute in Light, come appariva da Jersey City nell'anniversario degli attacchi nel 2004
Le fontane al posto delle torri nel 2011

Nei giorni immediatamente successivi agli attacchi, si tennero molte commemorazioni e veglie in tutto il mondo;[359][360][361] mentre ovunque a Ground zero furono affisse immagini delle vittime.[362] Una delle prime commemorazioni fu il Tribute in Light, un'installazione di 88 fari da ricerca posti nelle fondamenta delle Torri che proiettavano due colonne di luce verticalmente verso il cielo.[363] A New York fu istituita una competizione per decidere il progetto di un monumento da erigere sul luogo di Ground Zero; il progetto vincente, Reflecting Absence, selezionato nell'agosto 2006, consiste in una coppia di piscine posizionate sul luogo delle fondamenta delle Torri, circondate da un monumento in cui sono iscritti i nomi delle vittime.[364] Il Memoriale è stato aperto al pubblico il 12 settembre 2011, in occasione del decennale degli attentati[365]; il 15 maggio 2014, invece, nello stesso sito è stato inaugurato il Museo dell'11 settembre.[366]

Il monumento del Pentagono è stato inaugurato l'11 settembre 2008[367], settimo anniversario degli attacchi; si tratta di un parco con 184 panchine (pari ai 125 morti che ci sono stati tra gli occupanti dell'edificio più i 59 del volo AA 77) che fronteggiano il Pentagono.[368] Quando il Pentagono fu ricostruito, nel 2001-2002, furono costruiti anche una cappella privata e un monumento interno, posti nel luogo dove il Volo 77 si schiantò nell'edificio.[369] Un monumento del Volo 93 da costruire a Shanksville è in fase di progetto: includerà un groviglio di alberi scolpiti che forma un circolo intorno al sito dell'impatto, tagliato dal percorso dell'aereo, mentre delle campane a vento porteranno i nomi delle vittime.[370] Un monumento temporaneo si trova a 450 m dal sito dell'impatto del Volo 93 a Shanksville.[371] Molti altri monumenti permanenti sono in costruzione in tutto il mondo e la loro lista è aggiornata man mano che sono completati.[372] Oltre a monumenti veri e propri, anche borse di studio e programmi a fini benefici sono stati istituiti dai parenti delle vittime, come pure da altre organizzazioni e privati.[373]

Teorie del complotto

A seguito degli attacchi, negli Stati Uniti e nel mondo sono stati sollevati diversi dubbi circa il reale svolgimento dei fatti e sono state formulate numerose teorie difformi da quelle comunemente accettate, generalmente configurabili come teorie del complotto.

Tali dubbi e teorie hanno dato luogo a innumerevoli dispute e controversie circa la natura, l'origine e i responsabili degli attentati, contestando il contenuto dei resoconti ufficiali circa l'accaduto e suggerendo, tra l'altro, che persone con incarichi di responsabilità negli Stati Uniti fossero a conoscenza del pericolo e che deliberatamente avrebbero deciso di non prevenirli, o che individui estranei ad al-Qāʿida avrebbero partecipato alla pianificazione o all'esecuzione degli attacchi.[374] Una delle più diffuse teorie pone in dubbio che gli edifici colpiti a New York siano crollati per conseguenza del solo impatto degli aerei e degli incendi che ne sono seguiti. Tuttavia, la comunità degli ingegneri civili concorda con la versione che vuole il collasso delle Torri gemelle provocato dagli impatti ad alta velocità degli aviogetti e dai conseguenti incendi, piuttosto che da una demolizione controllata[375] della quale non è mai stata fornita alcuna solida prova scientifica.

Nonostante tutte le prove e controprove accumulate negli anni riguardo alla ricostruzione storica degli avvenimenti, sono nate alcune associazioni sedicenti no profit che ne mettono in dubbio certi aspetti, asserendo che molti tra gli eventi verificatisi quel giorno non sarebbero in alcun modo compatibili con le spiegazioni fornite. Tra queste la Architects & Engineers for 9/11 Truth, la Pilots for 9/11 truth e alcune altre.

Film, serie TV e documentari

Film

Serie TV

Di seguito un elenco di serie TV interamente dedicate all'11 settembre:

  • 2004 - The Power of Nightmares di Adam Curtis.
  • 2006 - 11 Settembre: Tragedia Annunciata (The Path to 9/11).
  • 2011 - Rising: La Rinascita di Ground Zero (Rising: Rebuilding Ground Zero).
  • 2017 - 9/11: Come Tutto ha Avuto Inizio.
  • 2021 - Turning Point: l'11 Settembre e la Guerra al Terrorismo (Turning Point: 9/11 and the War on Terror).
  • 2021 - 9/11: Un Giorno in America (9/11: One Day in America).

Di seguito un elenco di serie TV con alcuni episodi dedicati all'11 settembre:

  • 2001 - Speciale 11 Settembre, primo episodio della terza stagione della serie Squadra Emergenza.
  • 2002 - Il Pentagono (The Pentagon), tredicesimo episodio della prima stagione della serie documentaristica Super Structures of the World.
  • 2004 - 11 Settembre. Attacco al Pentagono (Pentagon 9/11), tredicesimo episodio della prima stagione della serie documentaristica Quei secondi fatali trasmesso da National Geographic Channel.
  • 2004 - L'Ultima Ora del Volo American Airlines 11, secondo episodio della prima stagione della serie documentaristica Zero Hour.
  • 2011 - 9/11: Una tranquilla mattina di settembre (9/11), primo episodio della quarta stagione della serie documentaristica Quei secondi fatali trasmesso da National Geographic Channel.
  • 2016 - 11/9: Attacco al Pentagono, secondo episodio della sedicesima stagione della serie documentaristica Indagini ad alta quota.
  • 2022 - Sotto Attacco, sesto episodio della seconda stagione della serie documentaristica Segreti e Misteri: Special Edition.
  • 2022 - L'11 Settembre, primo episodio della prima stagione della serie documentaristica Grandi Disastri: 10 Errori Fatali.

Documentari

  • 2001 - America Anno Zero.
  • 2002 - 11/9 (9/11), documentario con protagonisti i vigili del fuoco di New York diretto da Jules e Gédéon Naudet, James Hanlon.
  • 2004 - In Plane Site (Director's Cut) di William Lewis.
  • 2005 - Oltre l'11 Settembre (After 9/11: Rebuilding Lives).
  • 2005 - Confronting the Evidence di Jimmy Walter trasmesso su Rai 3 il 24 settembre 2006 alle 21:00, durante il programma Report[376]
  • 2005 - 11 Settembre: Quattro Anni Dopo di Massimo Mazzucco.
  • 2006 - 11 Settembre: Inganno Globale di Massimo Mazzucco.
  • 2006 - Loose Change di Dylan Avery.
  • 2007 - Zero - Inchiesta sull'11 settembre di Thomas Torelli, con Dario Fo, Lella Costa e Moni Ovadia.
  • 2008 - I 102 minuti che sconvolsero il mondo (102 Minutes That Changed America) documentario interamente composto da filmati originali degli eventi.
  • 2008 - 11 Settembre 2001: Il Giorno che ha Cambiato la Storia.
  • 2010 - L'Uomo che Predisse l'11 Settembre.
  • 2010 - 9/11: Le Ultime Telefonate dalle Torri.
  • 2011 - Remembering 9/11.
  • 2011 - 11/9: Frammenti di Storie (9/11: Stories in Fragments).
  • 2011 - 11 Settembre: Gli Italiani nelle Torri.
  • 2011 - 11/9: Intervista a George W. Bush (George W. Bush: The 9/11 Interview).
  • 2012 - 11 Settembre: La Donna che non c'Era (The Woman Who Wasn't There).
  • 2012 - 11 Settembre: Voci dall'Inferno.
  • 2013 - 11 settembre: La nuova Pearl Harbor di Massimo Mazzucco.
  • 2013 - Gli Eroi di Ground Zero (9/11 Firehouse).
  • 2013 - 11/9: Le Immagini della Tragedia (9/11: The Heartland Tapes).
  • 2016 - 11 Settembre: Verità, Bugie e Cospirazioni.
  • 2016 - 9/11 Inside the Pentagon, primo documentario interamente incentrato sull'attacco dell'11 settembre al Pentagono.
  • 2018 - Giorni Fatali - 9/11 Il Giorno che Cambiò il Mondo.
  • 2019 - 11 Settembre: Paura nei Cieli (9/11: Control The Skies).
  • 2019 - L'11 Settembre dell'Air Force One.
  • 2019 - 11 Settembre: A Bordo del Volo 93.
  • 2020 - L'11 Settembre al Pentagono.
  • 2021 - 11 Settembre: The Falling Man (9/11: The Falling Man).
  • 2021 - 11 Settembre 2001: Trappola di Fuoco.
  • 2021 - 11 Settembre: New York Sotto Shock (9/11: Life Under Attack).
  • 2021 - Gli Aerei dell'11 Settembre.
  • 2021 - Women 9/11 (The Women of 9/11).
  • 2021 - Gli Eroi Dimenticati dell'11 Settembre.
  • 2021 - 11 Settembre: Io C'ero.
  • 2021 - Venti Anni: L'Italia con Voi.
  • 2021 - 11/9: Le Due Ore che Cambiarono il Mondo.
  • 2021 - 11 Settembre Minuto per Minuto (9/11: Minute by Minute).
  • 2021 - 9/11: La Storia delle Torri Gemelle.
  • 2021 - 11 Settembre: 20 Anni che Valgono un Secolo. I Sopravvissuti.

Note

  • ^ Nine facts about terrorism in the United States since 9/11, The Washington Post, 11 settembre 2013. URL consultato il 26 novembre 2015.
  • ^ The Cost of September 11, su iags.org. URL consultato il 24 settembre 2019.
  • ^ a b Bin Laden claims responsibility for 9/11, su cbc.ca.
  • ^ World Trade Center Re-opens as Tallest Building in America - One World Trade Center, su onewtc.com, 4 settembre 2015. URL consultato il 24 settembre 2019 (archiviato dall'url originale il 4 settembre 2015).
  • ^ Aaron Smith, One World Trade Center opens today, su CNNMoney, 3 novembre 2014. URL consultato il 24 settembre 2019.
  • ^ The Soviet Failure in Afghanistan | Marine Corps Association, su mca-marines.org, 12 gennaio 2018. URL consultato il 22 maggio 2023 (archiviato dall'url originale il 12 gennaio 2018).
  • ^ Afghanistan: Lessons from the Last War, su nsarchive2.gwu.edu. URL consultato il 22 maggio 2023.
  • ^ Stephen Internet Archive, MI6 : inside the covert world of Her Majesty's secret intelligence service, New York : Simon & Schuster, 2002, ISBN 978-0-7432-1778-1. URL consultato il 22 maggio 2023.
  • ^ Wright, Lawrence, The Looming Tower, Knopf, 2006, p. 130.
  • ^ Gunaratna, Ronan, Inside Al Qaeda, Berkley Books, 2002, pp. 23-33.
  • ^ In realtà la fatwa era del tutto irrituale sotto il profilo del diritto islamico, dal momento che bin Laden non aveva alcun titolo per emetterne una, non avendo egli mai compiuto i necessari e certificati studi di "scienze religiose" (tra cui diritto islamico, teologia islamica, scienza dei ʾaḥādīth, esegesi coranica, in una struttura riconosciuta d'insegnamento superiore islamico).
  • ^ (EN) Bin Laden's Fatwa (1996), in PBS, 23 agosto 1996. URL consultato il 23 novembre 2013 (archiviato dall'url originale il 25 dicembre 2018).
  • ^ a b c d (EN) Al Qaeda's 1998 Fatwa, in The NewsHour with Jim Lehrer, 23 febbraio 1998. URL consultato il 23 novembre 2013 (archiviato dall'url originale il 1º settembre 2006).
  • ^ Al Jazeera English - Archive - Full Transcript Of Bin Ladin's Speech, su english.aljazeera.net, 13 giugno 2007. URL consultato il 27 settembre 2019 (archiviato dall'url originale il 13 giugno 2007).
  • ^ (EN) Pakistan retains Bin Laden family, 6 luglio 2011. URL consultato il 27 settembre 2019.
  • ^ FOXNews.com - Pakistan to Demand Taliban Give Up Bin Laden as Iran Seals Afghan Border - U.S. & World, su foxnews.com, 23 maggio 2010. URL consultato il 27 settembre 2019 (archiviato dall'url originale il 23 maggio 2010).
  • ^ CNN.com - Bin Laden on tape: Attacks 'benefited Islam greatly' - December 14, 2001, su archives.cnn.com, 27 dicembre 2007. URL consultato il 27 settembre 2019 (archiviato dall'url originale il 27 dicembre 2007).
  • ^ (EN) Transcript: Bin Laden video excerpts, 27 dicembre 2001. URL consultato il 27 settembre 2019.
  • ^ (EN) David Bamber, Bin Laden: Yes, I did it, 11 novembre 2001. URL consultato il 27 settembre 2019.
  • ^ Bin Laden 9/11 planning video aired, su cbc.ca, 13 ottobre 2007. URL consultato il 27 settembre 2019 (archiviato dall'url originale il 13 ottobre 2007).
  • ^ How Osama Cracked FBI's Top 10, su wired.com, 26 maggio 2008. URL consultato il 27 settembre 2019 (archiviato dall'url originale il 26 maggio 2008).
  • ^ (EN) Welcome to FBI.gov, su Federal Bureau of Investigation. URL consultato il 27 settembre 2019.
  • ^ Ministry of Foreign Affairs, su mofa.gov.pk, 4 maggio 2011. URL consultato il 22 maggio 2023 (archiviato dall'url originale il 4 maggio 2011).
  • ^ 'We left out nuclear targets, for now' | The Guardian | Guardian Unlimited, su guardian.co.uk, 23 gennaio 2008. URL consultato il 27 settembre 2019 (archiviato dall'url originale il 23 gennaio 2008).
  • ^ (EN) Tom Leonard, Alleged 9/11 mastermind wants to confess to plot, 8 dicembre 2008. URL consultato il 27 settembre 2019.
  • ^ a b September 11 suspect 'confesses', su aljazeera.com. URL consultato il 27 settembre 2019.
  • ^ (EN) The Washington Times http://www.washingtontimes.com, White House power grabs, su The Washington Times. URL consultato il 27 settembre 2019.
  • ^ Khalid Sheikh Mohammed Terror Indictment Unsealed, Dismissed - Businessweek, su businessweek.com, 17 aprile 2011. URL consultato il 27 settembre 2019 (archiviato dall'url originale il 17 aprile 2011).
  • ^ (EN) Elaine Shannon e Michael Weisskopf, Khalid Sheikh Mohammed Names Names, in Time, 24 marzo 2003. URL consultato il 27 settembre 2019 (archiviato dall'url originale il 27 settembre 2019).
  • ^ (EN) US judge orders CIA to turn over 'torture' memo-ACLU, in Reuters, 8 maggio 2008. URL consultato il 27 settembre 2019.
  • ^ (EN) 9/11 accused in vacuum cleaner plea, 11 luglio 2013. URL consultato il 27 settembre 2019.
  • ^ (EN) Key 9/11 suspect 'admits guilt', 15 marzo 2007. URL consultato il 27 settembre 2019.
  • ^ Copia archiviata (PDF), su vaed.uscourts.gov. URL consultato il 9 giugno 2008 (archiviato dall'url originale il 26 ottobre 2019).
  • ^ (EN) Substitution for Testimony of Khalid Sheik Mohammed (PDF), su United States District Court for the Eastern District of Virginia, United States Department of Justice, 2006, p. 24. URL consultato il 23 novembre 2013 (archiviato dall'url originale il 26 ottobre 2019).
  • ^ (EN) Spain jails 18 al-Qaeda operatives, su The Age, 27 settembre 2005. URL consultato il 27 settembre 2019.
  • ^ (EN) The Times & The Sunday Times, su thetimes.co.uk. URL consultato il 27 settembre 2019.
  • ^ Moussaoui Not Linked to 9/11, su washingtonpost.com.
  • ^ (EN) Kabir Chibber, One of the few men convicted over the Sept. 11 attacks is free, su Quartz. URL consultato il 27 settembre 2019.
  • ^ (EN) The Hamburg connection, 19 agosto 2005. URL consultato il 27 settembre 2019.
  • ^ (EN) Guardian Staff, Full text: bin Laden's 'letter to America', in The Guardian, 24 novembre 2002. URL consultato il 27 settembre 2019.
  • ^ 1998 Fatwa summary, su representativepress.org. URL consultato il 27 settembre 2019.
  • ^ a b (EN) Rahimullah Yusufzai, Face to face with Osama, in The Guardian, 26 settembre 2001. URL consultato il 27 settembre 2019.
  • ^ (EN) Robert Anthony Pape, Dying to Win: The Strategic Logic of Suicide Terrorism, Random House Trade Paperbacks, 2006, ISBN 978-0-8129-7338-9. URL consultato il 27 settembre 2019.
  • ^ Full transcript of bin Ladin's speech, su aljazeera.com. URL consultato il 27 settembre 2019.
  • ^ (EN) Tom Rockmore, Before and After 9/11: A Philosophical Examination of Globalization, Terror, and History, A&C Black, 21 aprile 2011, ISBN 978-1-4411-1892-9. URL consultato il 27 settembre 2019.
  • ^ (EN) The Crisis of Islam, in Wikipedia, 19 marzo 2019. URL consultato il 27 settembre 2019.
  • ^ (EN) Michael Scott Doran, Somebody Else's Civil War, 19 dicembre 2018. URL consultato il 27 settembre 2019.
  • ^ (EN) Suspect 'reveals 9/11 planning', 22 settembre 2003. URL consultato il 27 settembre 2019.
  • ^ (EN) Eric Lichtblau, THREATS AND RESPONSES: THE PLOT; Bin Laden Chose 9/11 Targets, Al Qaeda Leader Says, in The New York Times, 20 marzo 2003. URL consultato il 27 settembre 2019.
  • ^ (ES) Ediciones El País, Atta recibió en Tarragona joyas para que los miembros del 'comando' del 11-S se hiciesen pasar por ricos saudíes, in El País, 21 marzo 2004. URL consultato il 27 settembre 2019.
  • ^ https://foreignpolicy.com/2013/05/03/how-jihadists-schedule-terrorist-attacks/
  • ^ Wright, 2006, pp. 310–312
  • ^ Clarke, 2004, pp. 235–236
  • ^ Wright, 2006, pp. 344
  • ^ Clarke, 2004, pp. 236-237
  • ^ Clarke, 2004, pp. 242–243
  • ^ Wright, 2006, pp. 340
  • ^ Wright, 2006, pp. 340-343
  • ^ Wright, 2006, pp. 350
  • ^ (EN) THE OSAMA BIN LADEN FILE, su The National Security Archive, The National Security Archive. URL consultato il 14 marzo 2016.
  • ^ Wright, 2006, pp. 350-351
  • ^ Wright, 2006, pp. 342-343
  • ^ Javorsek II, Rose, Marshall, Leitner, 2015, p. 742
  • ^ Clarke, 2004, p.238
  • ^ a b c National Commission on Terrorist Attacks Upon the United States, su govinfo.library.unt.edu. URL consultato il 28 settembre 2019.
  • ^ (EN) Hijacked Planes Used in Coordinated Attacks Upon New York, Washington, su foxnews.com, Fox News, 11 settembre 2001. URL consultato il 23 novembre 2013 (archiviato dall'url originale il 10 novembre 2012).
  • ^ Look back at how September 11 unfolded - CNN Video. URL consultato il 28 settembre 2019.
  • ^ (EN) Terence Neilan, 2 Planes Crash Into World Trade Center, The New York Times, 11 settembre 2001. URL consultato il 23 novembre 2013.
  • ^ "Flight Path Study – American Airlines Flight 11" (PDF). National Transportation Safety Board. February 19, 2002. (PDF), su nsarchive.gwu.edu.
  • ^ "Flight Path Study – United Airlines Flight 175" (PDF). National Transportation Safety Board. February 19, 2002. (PDF), su gwu.edu.
  • ^ (EN) David Snyder, Families Hear Flight 93's Final Moments, The Washington Post, 19 aprile 2002. URL consultato il 2 gennaio 2016.
  • ^ (EN) Flight 93 Transcript, CNN, 12 aprile 2006. URL consultato il 30 marzo 2007 (archiviato dall'url originale il 13 aprile 2006).
  • ^ (EN) Text of Flight 93 Recording, Fox News, 12 aprile 2006. URL consultato il 23 novembre 2013 (archiviato dall'url originale il 20 maggio 2013).
  • ^ Yosri Fouda Nick Fielding, Masterminds of Terror, Arcade Publishing, 2004, pp. 158-159.
  • ^ (EN) Jim McKinnon, The phone line from Flight 93 was still open when a GTE operator heard Todd Beamer say: 'Are you guys ready? Let's roll', Pittsburgh Post-Gazette, 16 settembre 2001. URL consultato il 23 novembre 2013 (archiviato dall'url originale il 25 dicembre 2018).
  • ^ (EN) Relatives wait for news as rescuers dig, New York, CNN, 13 settembre 2001. URL consultato il 20 maggio 2008 (archiviato dall'url originale il 19 ottobre 2007).
  • ^ Sara Kehaulani Goo, Dan Eggen, Washington Post, Hijackers used Mace, knives to take over airplanes / Sept. 11 panel hears chilling recording from flight attendant, su SFGate, 28 gennaio 2004. URL consultato il 28 settembre 2019.
  • ^ (EN) Mike M. Ahlers, 9/11 panel: Hijackers may have had utility knives, Washington D.C., CBS News, 27 gennaio 2004. URL consultato il 23 novembre 2013.
  • ^ The phone line from Flight 93 was still open when a GTE operator heard Todd Beamer say: 'Are you guys ready? Let's roll', su old.post-gazette.com. URL consultato il 28 settembre 2019 (archiviato dall'url originale il 1º ottobre 2019).
  • ^ CNN International - Breaking News, US News, World News and Video, su CNN. URL consultato il 28 settembre 2019.
  • ^ (EN) Jodi Wilgoren e Edward Wong, AFTER THE ATTACKS: UNITED FLIGHT 93; On Doomed Flight, Passengers Vowed To Perish Fighting, in The New York Times, 13 settembre 2001. URL consultato il 28 settembre 2019.
  • ^ (EN) Moussaoui Jury Hears the Panic From 9/11, su Los Angeles Times, 11 aprile 2006. URL consultato il 28 settembre 2019.
  • ^ (EN) National Commission Upon Terrorist Attacks in the United States, su 9-11commission.gov, 9/11 Commission, 27 gennaio 2004. URL consultato il 23 novembre 2013.
  • ^ a b (EN) Chapter 1: "We Have Some Planes" (PDF), su 9/11 Commission Report, 9-11commission.gov, 9/11 Commission, 2004. URL consultato il 23 novembre 2013.
  • ^ a b (EN) Bill Miller, Report Assesses Trade Center's Collapse, The Washington Post, 1º maggio 2002. URL consultato il 3 dicembre 2016.
  • ^ (EN) Chapter 5 WTC 7 - section 5.5.4 (PDF), su World Trade Center Building Performance Study, fema.gov, Federal Emergency Management Agency, 2002. URL consultato il 23 novembre 2013.
  • ^ a b (EN) Questions and Answers about the NIST WTC 7 Investigation, su National Institute of Standards and Technology, United States Department of Commerce, 8 agosto 2008. URL consultato il 21 agosto 2008 (archiviato dall'url originale il 24 agosto 2008).
  • ^ We have some planes (PDF), su govinfo.library.unt.edu.
  • ^ (EN) Profiles of 9/11 - About 9/11, su The Biography Channel, A&E Television Networks. URL consultato il 12 dicembre 2007 (archiviato dall'url originale il 17 maggio 2008).
  • ^ (EN) Mark Miller, Three hours that shook America: A chronology of chaos, su Broadcasting & Cable, Reed Business Information, 25 agosto 2002. URL consultato il 23 novembre 2013 (archiviato dall'url originale il 23 novembre 2008).
  • ^ (EN) CNN Breaking News: Terrorism Strikes In The United States in a Massive Attack, CNN, 11 settembre 2001. URL consultato il 23 novembre 2013.
  • ^ (EN) Michael O'Mara, 9/11: 'Fifth Plane' terror alert at Cleveland Hopkins Airport, WKYC News, 11 settembre 2006. URL consultato il 3 dicembre 2016 (archiviato dall'url originale il 4 marzo 2016).
  • ^ (EN) American Airlines Flight 11, CNN. URL consultato il 23 novembre 2013.
  • ^ (EN) United Airlines Flight 175, su cnn.com, CNN. URL consultato il 23 novembre 2013.
  • ^ (EN) American Airlines Flight 77, su cnn.com, CNN. URL consultato il 23 novembre 2013.
  • ^ (EN) Dennis B. Roddy, Flight 93: Forty lives, one destiny, Pittsburgh Post-Gazette, 28 ottobre 2001. URL consultato il 7 settembre 2006 (archiviato dall'url originale il 20 marzo 2012).
  • ^ (EN) September 11: Chronology of terror, su archives.cnn.com, CNN. URL consultato il 7 settembre 2006 (archiviato dall'url originale il 12 novembre 2004).
  • ^ (EN) First video of Pentagon 9/11 attack released, Washington D.C., CNN, 16 maggio 2006. URL consultato il 23 novembre 2013.
  • ^ (EN) 24 Remain Missing, September 11 Victims, 12 agosto 2006. URL consultato il 7 settembre 2006 (archiviato dall'url originale il 29 dicembre 2005).
  • ^ (EN) Andrea Stone, Military's aid and comfort ease 9/11 survivors' burden, Arlington, USA Today, 20 agosto 2002. URL consultato il 23 novembre 2013.
  • ^ (EN) Carolee Walker, Five-Year 9/11 Remembrance Honors Victims from 90 Countries, su america.gov, United States Department of State, 11 settembre 2006. URL consultato il 18 maggio 2008 (archiviato dall'url originale il 15 gennaio 2008).
  • ^ Averill, Jason D., et al., Occupant Behavior, Egress, and Emergency Communications (PDF), in Final Reports of the Federal Building and Fire Investigation of the World Trade Center Disaster, National Institute of Standards and Technology (NIST), 2005. URL consultato il 23 novembre 2013.
  • ^ Dwyer-Flynn, 2005.
  • ^ (EN) Dwyer, Jim, et al., Last Words at the Trade Center; Fighting to Live as the Towers Die, in The New York Times, 26 maggio 2002. URL consultato il 23 novembre 2013.
  • ^ a b (EN) Eric Lipton, Study Maps the Location of Deaths in the Twin Towers, in The New York Times, 22 luglio 2004. URL consultato il 23 novembre 2013.
  • ^ (EN) Heroism and Honor, su National Commission on Terrorist Attacks upon the United States, 9-11commission.gov, U.S. Congress, 21 agosto 2004. URL consultato il 23 novembre 2013.
  • ^ (EN) Dennis Chaucon e Martha Moore, Desperation forced a horrific decision, USATODAY, 2 settembre 2002. URL consultato il 23 novembre 2013.
  • ^ (EN) Joel Roberts, Poor Info Hindered 9/11 Rescue, in CBS News, 18 maggio 2004. URL consultato il 23 novembre 2013.
  • ^ Natick hosting stair-climb challenge to honor first responders lost on 9/11, su army.mil. URL consultato il 28 settembre 2016.
  • ^ (EN) Denise Grady, Andrew C. Revkin, Threats and Responses: Rescuer's Health; Lung Ailments May Force 500 Firefighters Off Job, in The New York Times, 10 settembre 2002. URL consultato il 23 novembre 2013.
  • ^ Matteo Pervisale, «Padre Mychal diventi il santo di Ground Zero», su archiviostorico.corriere.it, Corriere della Sera, 14 settembre 2002. URL consultato il 5 agosto 2015 (archiviato dall'url originale il 13 luglio 2015).
  • ^ (EN) Post-9/11 report recommends police, fire response changes, in Associated Press, New York, 19 agosto 2002. URL consultato il 23 novembre 2013.
  • ^ (EN) Beth Nissen, Police back on day-to-day beat after 9/11 nightmare, in CNN, New York, 21 luglio 2002. URL consultato il 23 maggio 2008 (archiviato dall'url originale il 9 novembre 2007).
  • ^ Pradnya Joshi, Port Authority workers to be honored, in Newsday, 8 settembre 2005. URL consultato il 20 maggio 2008 (archiviato dall'url originale il 9 novembre 2007).
  • ^ (EN) 2001 Notices of Line of Duty Death, su nemsms.org, National EMS Memorial Service. URL consultato il 23 novembre 2013 (archiviato dall'url originale il 12 novembre 2013).
  • ^ (EN) Cantor rebuilds after 9/11 losses, in BBC News, 4 settembre 2006. URL consultato il 23 novembre 2013.
  • ^ (EN) Aaron Siegel, Industry honors fallen on 9/11 anniversary, in InvestmentNews, 11 settembre 2007. URL consultato il 20 maggio 2008 (archiviato dall'url originale il 15 settembre 2007).
  • ^ (EN) Andrew Beveridge, 9/11/01-02: A Demographic Portrait Of The Victims In 10048, su gothamgazette.com, Gotham Gazette. URL consultato il 23 novembre 2013.
  • ^ (EN) Ayaz Nanji, Ground Zero Forensic Work Ends, in CBS News, 23 febbraio 2005. URL consultato il 23 novembre 2013.
  • ^ (EN) Michelle Chen, Ecological Impact of 9/11 - Ground Zero: The Most Dangerous Workplace, in The NewStandard, New York, 24 gennaio 2005. URL consultato il 23 novembre 2013 (archiviato dall'url originale il 30 giugno 2013).
  • ^ (EN) Juan Gonzalez, Shocking victims of 9/11 - Ground Zero poison blamed in deaths of DA terror expert, fed health monitor, in New York Daily News, 19 luglio 2007. URL consultato il 23 novembre 2013.
  • ^ (EN) CBC-TV: 9/11 Toxic Legacy: A CLOUD of dust, su cbc.ca, CBC (archiviato dall'url originale il 13 agosto 2007).
  • ^ a b 20 anni dopo l'attacco alle Torri gemelle ci sono ancora conseguenze sulla salute di soccorritori e sopravvissuti, su Wired, 11 settembre 2021. URL consultato il 12 settembre 2021.
  • ^ a b (EN) World Trade Center Building Performance Study, su fema.gov, Federal Emergency Management Agency, maggio 2002. URL consultato il 12 luglio 2007 (archiviato dall'url originale il 27 settembre 2006).
  • ^ (EN) Robert Smilowitz, Adam Hapij, Jeffrey Smilow, Chapter 6: Bankers Trust Building (PDF), su World Trade Center Building Performance Study, fema.gov, Federal Emergency Management Agency, maggio 2002. URL consultato il 23 novembre 2013.
  • ^ (EN) The Deutsche Bank Building at 130 Liberty Street, su renewnyc.com, Lower Manhattan Development Corporation. URL consultato il 23 novembre 2013 (archiviato dall'url originale il 25 dicembre 2018).
  • ^ (EN) Fiterman Hall, su lowermanhattan.info, Lower Manhattan Construction Command Center, luglio 2007. URL consultato il 23 novembre 2013 (archiviato dall'url originale il 9 novembre 2013).
  • ^ (EN) Top Projects Completed 2003-2004: Verizon Building Restoration, su newyork.construction.com, ENR New York. URL consultato il 23 novembre 2013.
  • ^ (EN) Chapter 7: Peripheral Buildings (PDF), su World Trade Center Building Performance Study, fema.gov, Federal Emergency Management Agency, maggio 2002. URL consultato il 23 novembre 2013.
  • ^ (EN) Larry Bloomfield, New York broadcasters rebuild, su sysdesignshowcase.broadcastengineering.com, Broadcast Engineering, 1º ottobre 2001. URL consultato il 18 maggio 2008 (archiviato dall'url originale il 4 giugno 2008).
  • ^ a b (EN) McKinsey Report - Emergency Medical Service response (PDF), su nyc.gov, FDNY / McKinsey & Company, 9 agosto 2002. URL consultato il 23 novembre 2013 (archiviato dall'url originale il 25 dicembre 2018).
  • ^ a b (EN) FDNY McKinsey Report - Executive Summary (PDF), su nyc.gov, FDNY / McKinsey & Company, agosto 2002. URL consultato il 23 novembre 2013 (archiviato dall'url originale il 25 dicembre 2018).
  • ^ (EN) Fire Apparatus Deployment on September 11 (PDF), su nyc.gov, FDNY / McKinsey & Company, agosto 2002. URL consultato il 23 novembre 2013 (archiviato dall'url originale il 25 dicembre 2018).
  • ^ a b (EN) McKinsey Report - NYPD, su nyc.gov, 19 agosto 2002. URL consultato il 23 novembre 2013 (archiviato dall'url originale l'8 giugno 2014).
  • ^ a b (EN) Alavosius, Mark P., et al., Unity Of Purpose/Unity Of Effort: Private-Sector Preparedness In Times Of Terror, in Disaster Prevention & Management, vol. 14, n. 5, 2005, pp. 666-680.
  • ^ (EN) Timeline of WTC Recovery, in Fox News, New York, 29 maggio 2002. URL consultato il 23 novembre 2013 (archiviato dall'url originale l'11 novembre 2012).
  • ^ L'irritualità di una simile pronuncia di interesse giuridico è dimostrata dal fatto che - per plurisecolare tradizione islamica - una fatwa può essere validamente emessa solo da un giurisperito la cui dottrina ed esperienza siano riconosciute dalla maggioritaria opinione dei dotti musulmani.
  • ^ (EN) Andrew Higgins, Alan Cullison, Saga of Dr. Zawahri Sheds Light On the Roots of al Qaeda Terror, in The Wall Street Journal, Derbent, 2 luglio 2002. URL consultato il 23 novembre 2013.
  • ^ (EN) Tenth Public Hearing, Testimony of Louis Freeh editore=9/11 Commission, su 9-11commission.gov, 13 aprile 2004. URL consultato il 23 novembre 2013.
  • ^ (EN) Jihad Against Jews and Crusaders: World Islamic Front Statement, su fas.org, Federation of American Scientists, 23 febbraio 1998. URL consultato il 23 novembre 2013.
  • ^ (EN) Peter Bergen, The Osama bin Lāden I Know, Free Press, 2006, p. 283.
  • ^ a b (EN) National Commission on Terrorist Attacks Upon the United States, Chapter 5: Al Qaeda at the American Homeland, in 9/11 Commission Report, Government Printing Office, 2004. URL consultato il 23 novembre 2013.
  • ^ Lawrence Wright, The Looming Tower: Al-Qaeda and the Road to 9/11, Knopf, 2006, p. 308.
  • ^ (EN) 9/11 panel: Al Qaeda planned to hijack 10 planes, in CNN, Washington, D.C., 17 giugno 2004. URL consultato il 23 novembre 2013.
  • ^ David Johnston, Two Years Later: 9/11 Tactics; Official Says Qaeda Recruited Saudi Hijackers to Strain Ties, in The New York Times, 9 settembre 2003. URL consultato il 23 novembre 2013.
  • ^ (EN) Mark Clayton, Reading into the mind of a terrorist, in Christian Science Monitor, 30 ottobre 2003. URL consultato il 23 novembre 2013.
  • ^ Richard A. Clarke, Against All Enemies: Inside America's War on Terrorism, New York, Simon & Schuster, 2004, pp. 13-14, ISBN 0-7432-6823-7.
  • ^ (EN) FBI Announces List of 19 Hijackers, su fbi.gov, Federal Bureau of Investigation, 14 settembre 2001. URL consultato il 7 settembre 2006 (archiviato dall'url originale il 14 settembre 2001).
  • ^ (EN) Michael Dorman, Unraveling 9-11 was in the bags, in Newsday, 17 aprile 2006. URL consultato il 20 maggio 2008 (archiviato dall'url originale il 14 giugno 2007).
  • ^ (EN) Piece by Piece, The Jigsaw of Terror Revealed, in The Independent, 30 settembre 2001. URL consultato il 20 maggio 2008 (archiviato dall'url originale il 15 settembre 2007).
  • ^ (EN) The FBI releases 19 photographs of individuals believed to be the hijackers of the four airliners that crashed on September 11, 01, su Federal Bureau of Investigation, United States Department of Justice, 27 settembre 2001. URL consultato il 20 maggio 2008 (archiviato dall'url originale il 1º ottobre 2001).
  • ^ (EN) Michael E. Rolince, The Inspector General's Report and the September 11th Response, su Federal Bureau of Investigation, United States Department of Justice, 24 giugno 2003. URL consultato il 20 maggio 2008 (archiviato dall'url originale il 13 luglio 2003).
  • ^ (EN) Dale L. Watson, The Terrorist Threat Confronting the United States, su Federal Bureau of Investigation, United States Department of Justice, 6 febbraio 2002. URL consultato il 20 maggio 2008 (archiviato dall'url originale il 5 aprile 2002).
  • ^ (EN) Responsibility for the Terrorist Atrocities in the United States, 11 September 2001, su number-10.gov.uk, 10 Downing Street, 14 novembre 2001. URL consultato il 20 maggio 2008 (archiviato dall'url originale il 16 ottobre 2003).
  • ^ Rohan Gunarathna, Inside Al Qaeda, Global Network of Terror, Berkley Books, 2002, pp. 61-62.
  • ^ (EN) Bin Lāden claims responsibility for 9/11, in CBC News, 29 ottobre 2004. URL consultato il 23 novembre 2013.
    «Il leader di al-Qāʿida, Osama bin Lāden è apparso in un nuovo messaggio trasmesso da una stazione televisiva araba venerdì notte, per la prima volta rivendicando la responsabilità diretta per gli attacchi del 2001 contro gli Stati Uniti.»
  • ^ a b (EN) Full transcript of bin Ladin's speech, in Al Jazeera English, 2 novembre 2004. URL consultato il 20 maggio 2008 (archiviato dall'url originale il 10 aprile 2007).
  • ^ (EN) Pakistan to Demand Taliban Give Up Bin Laden as Iran Seals Afghan Border, in Fox News, 16 settembre 2001. URL consultato il 23 novembre 2013 (archiviato dall'url originale il 23 maggio 2010).
  • ^ (EN) Bin Laden on tape: Attacks 'benefited Islam greatly', in CNN, 14 dicembre 2001. URL consultato il 9 novembre 2007 (archiviato dall'url originale il 31 ottobre 2004).
    «Rivelando i dettagli degli attacchi fatali, bin Lāden si vanta in arabo di esserne venuto a conoscenza in anticipo e afferma che la distruzione era andata oltre le sue speranze. Afferma che gli attacchi "hanno portato un grande beneficio all'Islam"»
  • ^ (EN) Ed Haas, Taking the fat out of the fat bin Laden confession video, su muckrakerreport.com, Muckraker Report, 7 marzo 2008. URL consultato il 1º maggio 2008 (archiviato dall'url originale il 13 marzo 2007).
  • ^ (EN) Transcript: Bin Laden video excerpts, in BBC News, 27 dicembre 2001. URL consultato il 23 novembre 2013.
  • ^ (EN) Maggie Michael, Bin Laden, in statement to U.S. people, says he ordered Sept. 11 attacks, in The Associated Press, Il Cairo, 29 ottobre 2004. URL consultato il 23 novembre 2013 (archiviato dall'url originale il 15 settembre 2009).
  • ^ (EN) Al-Jazeera: Bin Laden tape obtained in Pakistan, in NBC News, Islamabad, 30 ottobre 2004. URL consultato il 23 novembre 2013.
  • ^ (EN) Bin Laden 9/11 planning video aired, in CBC News, 7 settembre 2006. URL consultato il 23 novembre 2013.
  • ^ (EN) 'We left out nuclear targets, for now', in The Guardian, 4 marzo 2003. URL consultato il 23 novembre 2013.
  • ^ Making of the Death Pilots, MSNBC-TV, marzo 2002.
  • ^ (EN) Brian Whitaker, Al-Qaida tape finally claims responsibility for attacks, in The Guardian, 10 settembre 2002. URL consultato il 23 novembre 2013.
  • ^ (EN) Elaine Shannon, Michael Weisskopf, Khalid Sheikh Mohammed Names Names, TIME, 24 marzo 2003. URL consultato il 23 novembre 2013 (archiviato dall'url originale il 25 dicembre 2018).
  • ^ a b (EN) Key 9/11 suspect 'admits guilt', in BBC News, 15 marzo 2007. URL consultato il 23 novembre 2013.
  • ^ (EN) September 11 suspect 'confesses', in Al Jazeera English, 15 marzo 2007. URL consultato il 20 maggio 2008 (archiviato dall'url originale il 17 marzo 2007).
  • ^ (EN) Robin Clewley, How Osama Cracked FBI's Top 10, in Wired, 27 settembre 2001. URL consultato il 23 novembre 2013 (archiviato dall'url originale il 26 maggio 2008).
  • ^ (EN) Spain jails 18 al-Qaeda operatives, in The Age, Madrid, 27 settembre 2005. URL consultato il 23 novembre 2013.
  • ^ (EN) 18 jailed in Spanish Al-Qaeda trial, in Forbes, Madrid, 26 settembre 2005. URL consultato il 19 maggio 2008 (archiviato dall'url originale il 31 maggio 2008).
  • ^ (EN) Country Reports on Terrorism 2006, su state.gov, United States Department of State, 2 ottobre 2007. URL consultato il 3 dicembre 2016.
  • ^ a b (EN) Chapter 10: Wartime, su 9/11 Commission Report, 9-11commission.gov, National Commission on Terrorists Attacks upon the United States. URL consultato il 23 novembre 2013.
  • ^ (EN) Chronology - Transport Canada responds to September 11 attacks, Transport Canada, 10 ottobre 2006. URL consultato il 15 dicembre 2007 (archiviato dall'url originale il 2 novembre 2002).
  • ^ (EN) Statement by the North Atlantic Council, su nato.int, NATO, 12-15 settembre 2001. URL consultato il 23 novembre 2013.
    (EN)

    «"Article 5: The Parties agree that an armed attack against one or more of them in Europe or North America shall be considered an attack against them all and consequently they agree that, if such an armed attack occurs, each of them, in exercise of the right of individual or collective self-defence recognised by Article 51 of the Charter of the United Nations, will assist the Party or Parties so attacked by taking forthwith, individually and in concert with the other Parties, such action as it deems necessary, including the use of armed force, to restore and maintain the security of the North Atlantic area. / Any such armed attack and all measures taken as a result thereof shall immediately be reported to the Security Council. Such measures shall be terminated when the Security Council has taken the measures necessary to restore and maintain international peace and security"»

    (IT)

    «Articolo 5: Le parti concordano che un attacco armato contro una o più di loro in Europa o Nord America sarà considerato un attacco contro tutti loro e di conseguenza essi concordano che, se un tale attacco armato si verifica, ciascuno di loro, nell'esercizio dei diritti di individuale o collettiva autodifesa in base all'Articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite, assisterà la Parte o le Parti così attaccate prendendo immediatamente, individualmente o di concerto con le altre Parti, le azioni ritenute necessarie, compreso l'utilizzo di forze armate, per ripristinare e mantenere la sicurezza dell'area dell'Atlantico del Nord. / Ognuno di questi attacchi armati e tutte le misure prese come conseguenza di cui sopra saranno immediatamente riferite al Consiglio di Sicurezza. Tali misure avranno termine quando il Consiglio di Sicurezza avrà preso le misure necessarie per ripristinare e mantenere la pace e la sicurezza internazionali.»

  • ^ (EN) C. S. Kuppuswamy, Terrorism in Indonesia : Role of the Religious Organisation, su saag.org, South Asia Analysis Group, 2 novembre 2005. URL consultato il 6 luglio 2007 (archiviato dall'url originale il 21 gennaio 2007).
  • ^ Rommel Banlaoi, Radical Muslim Terrorism in the Philippines, in Andrew Tan (a cura di), Handbook on Terrorism and Insurgency in Southeast Asia, Londra, Edward Elgar Publishing, 2006.
  • ^ a b (EN) Plans For Iraq Attack Began On 9/11, in CBS News, Washington, D.C., 4 settembre 2002. URL consultato l'8 gennaio 2007 (archiviato dall'url originale il 6 settembre 2002).
  • ^ Kenneth Feinberg, Who Gets What: Fair Compensation after Tragedy and Financial Upheaval, New York, PublicAffairs, giugno 2012, ISBN 978-1-58648-977-9.
  • ^ Feinberg, Kenneth. What is Life Worth?: The Unprecedented Effort to Compensate the Victims of 9/11 (2005), Perseus Books Group.
  • ^ a b c d The 911 Commission Report, 911 Commission, pp. 20–42, http://www.9-11commission.gov/report/911Report.pdf. URL consultato il 9 settembre 2011.
  • ^ Cheney: Order To Shoot Down Hijacked 9/11 Planes 'Necessary', Fox News Channel, 4 settembre 2011. URL consultato il 9 settembre 2011.
  • ^ Esther Schrader, Cheney Gave Order to Shoot Down Jets, in Los Angeles Times, 18 giugno 2004. URL consultato il 9 settembre 2011.
  • ^ Gordon Greer, What Price Security?, iUniverse, Inc, 2005, p. 73, ISBN 978-0-595-35792-5.
  • ^ Steve Hendrix, F-16 pilot was ready to give her life on Sept. 11, in The Washington Post, 8 settembre 2011. URL consultato il 9 settembre 2011.
  • ^ Flight Data Center, Copia archiviata (PDF), su judicialwatch.org, Federal Bureau of Investigation, 13 aprile 2007, p. 15ff. URL consultato il 13 giugno 2020 (archiviato dall'url originale il 25 febbraio 2014).
  • ^ National Commission on Terrorists Attacks upon the United States, U.S. Congress, http://www.9-11commission.gov/report/911Report_Ch10.htm. URL consultato il 3 settembre 2011.
  • ^ Andrew Williams, Metro online, Associated Northcliffe Digital, 4 ottobre 2006, https://web.archive.org/web/20070929083734/http://www.metro.co.uk/fame/interviews/article.html?in_article_id=20603&in_page_id=11. URL consultato il 13 aprile 2010 (archiviato dall'url originale il 29 settembre 2007).
  • ^ (EN) Actions taken following September 11 terrorist attacks, su Transport Canada Media Room, 11 dicembre 2001. URL consultato il 3 settembre 2011 (archiviato dall'url originale il 15 aprile 2002).
  • ^ Howard F. Stein, Days of Awe: September 11, 2001 and its Cultural Psychodynamics, in Journal for the Psychoanalysis of Culture and Society, vol. 8, n. 2, 2003, pp. 187–199, DOI:10.1353/psy.2003.0047.
  • ^ Asthma Rates Up Among Ground Zero Workers, CBS News, 10 settembre 2009. URL consultato l'11 settembre 2013.
  • ^ Simone A. Glynn, MP Busch e GB Schreiber, Effect of a National Disaster on Blood Supply and Safety: The September 11 Experience, in Journal of the American Medical Association, vol. 289, n. 17, 2003, pp. 2246–2253, DOI:10.1001/jama.289.17.2246, PMID 12734136.
  • ^ pbs.org, PBS, 19 dicembre 2001, https://web.archive.org/web/20110905071729/http://www.pbs.org/newshour/bb/business/july-dec01/redcross_12-19.html. URL consultato il 3 settembre 2011 (archiviato dall'url originale il 5 settembre 2011).
  • ^ S. Coates e D. Schechter, Preschoolers' traumatic stress post-9/11: Relational and developmental perspectives, in Psychiatric Clinics of North America, vol. 27, n. 3, 2004, pp. 473–489, DOI:10.1016/j.psc.2004.03.006, PMID 15325488.
  • ^ Schechter DS, Coates SW, First E (2002). Observations of acute reactions of young children and their families to the World Trade Center attacks. Journal of ZERO-TO-THREE: National Center for Infants, Toddlers, and Families, 22(3), 9–13.
  • ^ Coates SW, Rosenthal J, Schechter DS—Eds. (2003). September 11: Trauma and Human Bonds. New York: Taylor and Francis, Inc.
  • ^ T. P. Klein, E. R. Devoe e C. Miranda-Julian, Young children's responses to September 11th: The New York City experience, in Infant Mental Health Journal, vol. 30, n. 1, 2009, pp. 1–22, DOI:10.1002/imhj.20200, PMID 28636121.
  • ^ (EN) Richard Benedetto, Patrick O'Driscoll, Poll finds a united nation, in USA Today, 16 settembre 2001. URL consultato il 23 novembre 2013.
  • ^ (EN) Eric Pooley, Mayor of the World, in Time 2001 Person of the Year, 31 dicembre 2001. URL consultato il 23 novembre 2013.
  • ^ Devlin Barrett, 9/11 Fund Deadline Passes, in CBS News, 23 dicembre 2003. URL consultato l'8 settembre 2006 (archiviato dall'url originale il 2 febbraio 2004).
  • ^ (EN) 'Shadow Government' News To Congress, in CBS News, Washington, D.C., 2 marzo 2002. URL consultato l'8 settembre 2006 (archiviato dall'url originale il 3 aprile 2002).
  • ^ (EN) Uncle Sam Asks: "What The Hell Is Going On Here?", in New ACLU Print and Radio Advertisements, su aclu.org, Washington, D.C., American Civil Liberties Union, 3 settembre 2003. URL consultato il 23 novembre 2013.
  • ^ (EN) Dan Eggen, Key Part of Patriot Act Ruled Unconstitutional, in The Washington Post, 30 settembre 2004. URL consultato il 23 novembre 2013.
  • ^ (EN) Federal judge rules 2 Patriot Act provisions unconstitutional, in CNN, 26 settembre 2007. URL consultato il 23 novembre 2013.
  • ^ (EN) Jim VandeHei, Dan Eggen, Cheney Cites Justifications For Domestic Eavesdropping, in The Washington Post, 5 gennaio 2006. URL consultato il 23 novembre 2013.
  • ^ Thayil, Jeet (October 12, 2001). "645 racial incidents reported in week after September 11". India Abroad.
  • ^ Jha, Sandhya Rani (2015). Pre-Post-Racial America: Spiritual Stories from the Front Lines. St. Louis: Chalice Press. p. 82. ISBN 9780827244931.
  • ^ hrw report 2002, USA.
  • ^ (EN) Hate crime reports up in wake of terrorist attacks, in CNN, Atlanta, 17 settembre 2001. URL consultato l'8 settembre 2006 (archiviato dall'url originale il 27 novembre 2005).
  • ^ (EN) Authorization for Use of Military Force (PDF), su Public Law 107-40 S. J. RES. 23, U.S. Congress, 18 settembre 2001. URL consultato il 3 dicembre 2016.
  • ^ (EN) American Muslim Leaders, Muslim Americans Condemn Attack, su islamicity.com, ISNA. URL consultato il 23 novembre 2013.
  • ^ Dan Beaulieu, Muslim groups around world condemn the killing of innocents, in Agence France Presse – English, 12 settembre 2001.
  • ^ Joyce M. Davis, Muslims condemn attacks, insist Islam not violent against innocents, in Knight Ridder Washington Bureau, 13 settembre 2001.
  • ^ Larry Witham, Muslim groups decry attacks; No cause justifies the 'immoral' act, U.S. councils say, in The Washington Times, 12 settembre 2001.
  • ^ (EN) Hendrik Hertzberg, Lost love, in The New Yorker, 11 settembre 2006, p. 29. URL consultato il 23 novembre 2013.
  • ^ (EN) Attacks draw mixed response in Mideast, in CNN, Londra, 12 settembre 2001. URL consultato il 30 marzo 2007 (archiviato dall'url originale il 1º novembre 2007).
  • ^ (EN) In pictures: Atrocities' aftermath, 12 settembre 2001. URL consultato il 12 settembre 2019.
  • ^ (EN) Heba Saleh, Mixed response from Arab World, in BBC News, Il Cairo, 11 settembre 2001. URL consultato il 23 novembre 2013.
  • ^ Patrick Porter, Blunder: Britain's War in Iraq, Oxford University Press, 2018, p. 139, ISBN 978-0-19-880796-4.
  • ^ UK | Muslim community targets racial tension, in BBC News Online, 19 settembre 2001. URL consultato l'11 aprile 2012.
  • ^ (EN) U.S. President Bush's speech to United Nations, in CNN, 10 novembre 2001. URL consultato il 14 aprile 2008 (archiviato dall'url originale il 15 giugno 2006).
  • ^ (EN) Aamer Ahmed Khan, Pakistan and the 'key al-Qaeda' man, in BBC News, 4 maggio 2005. URL consultato l'11 settembre 2021 (archiviato dall'url originale il 24 febbraio 2021).
  • ^ un.org, United Nations, 12 settembre 2001, https://www.un.org/News/Press/docs/2001/SC7143.doc.htm. URL consultato l'11 settembre 2006.
    «The Security Council today, following what it called yesterday's "horrifying terrorist attacks" in New York, Washington, D.C., and Pennsylvania, unequivocally condemned those acts, and expressed its deepest sympathy and condolences to the victims and their families and to the people and Government of the United States.»
  • ^ (EN) Stuart Hamilton, September 11, the Internet, and the effects on information provision in Libraries (PDF), su 68th IFLA Council and Conference, International Federation of Library Associations and Institutions, 24 agosto 2002. URL consultato il 23 novembre 2013.
  • ^ (EN) G8 counter-terrorism cooperation since September 11 backgrounder, su g8.fr, Site Internet du Sommet du G8 d'Evian. URL consultato il 23 novembre 2013 (archiviato dall'url originale il 27 settembre 2011).
  • ^ (EN) Courtney C. Walsh, Italian police explore Al Qaeda links in cyanide plot, in Christian Science Monitor, Roma, 7 marzo 2002. URL consultato il 23 novembre 2013.
  • ^ (EN) SE Asia unites to smash militant cells, in CNN, Kuala Lumpur, 8 maggio 2002. URL consultato il 23 novembre 2013.
  • ^ (EN) Nancy Talanian, A Guide to Provisions of the USA Patriot Act and Federal Executive Orders that threaten civil liberties (PDF) [collegamento interrotto], su bordc.org, Bill of Rights Defense Committee, 2002. URL consultato il 23 novembre 2013.
  • ^ (EN) Reform the Patriot Act — Do not Expand It!, su action.aclu.org, American Civil Liberties Union. URL consultato il 14 settembre 2006 (archiviato dall'url originale il 30 luglio 2005).
  • ^ (EN) Countering Terrorism, su liberty-human-rights.org.uk, Liberty. URL consultato il 23 novembre 2013 (archiviato dall'url originale l'11 maggio 2008).
  • ^ (EN) Euro MPs urge Guantanamo closure, in BBC News, 13 giugno 2006. URL consultato il 23 novembre 2013.
  • ^ (EN) Juan E. Mendez, Detainees in Guantanamo Bay, Cuba; Request for Precautionary Measures, Inter-Am. C.H.R., University of Minnesota, 13 marzo 2002. URL consultato il 23 novembre 2013.
  • ^ (EN) USA: Release or fair trials for all remaining Guantánamo detainees, su amnesty.org, Amnesty International, 2 maggio 2008. URL consultato il 23 novembre 2013 (archiviato dall'url originale il 27 ottobre 2013).
  • ^ U.S. President Bush's speech to United Nations, CNN, 10 novembre 2001. URL consultato il 29 maggio 2014 (archiviato dall'url originale il 15 giugno 2006).
  • ^ Musharraf 'bullied' into supporting US war on terror, in Zee News, 11 dicembre 2009. URL consultato il 4 settembre 2011.
  • ^ Aamer Ahmed Khan, Pakistan and the 'key al-Qaeda' man, in BBC News Online, 4 maggio 2005. URL consultato il 4 settembre 2011.
  • ^ Blair's statement in full, BBC, 11 settembre 2001.
  • ^ georgewbush-whitehouse.archives.gov, The White House, 20 settembre 2001, https://web.archive.org/web/20080225062850/http://georgewbush-whitehouse.archives.gov/news/releases/2001/09/20010920-8.html. URL consultato il 25 agosto 2016 (archiviato dall'url originale il 25 febbraio 2008).
  • ^ Tony Blair's allegiance to George Bush laid bare, in London Evening Standard, 27 ottobre 2007.
  • ^ P.I.R.I News Headlines (Tue 80/07/03 A.H.S), su president.ir. URL consultato il 13 giugno 2020 (archiviato dall'url originale il 3 maggio 2002).. The Official Site of the Office of the President of Iran. Official website of the President of the Islamic Republic of Iran, su president.ir, 25 settembre 2001 (archiviato dall'url originale il 26 settembre 2001).)
  • ^ (FA) Radio Farda, 11 settembre 2011, https://web.archive.org/web/20120121163708/http://www.radiofarda.com/content/f12_us_state_department_thanks_iranian_sympathy_with_sept_11_victims_in_2001/24324962.html. URL consultato il 30 giugno 2016 (archiviato dall'url originale il 21 gennaio 2012). A mechanized Translation by Google Translate is available here, su translate.google.com..
  • ^ "Iran's President Says Muslims Reject bin Laden's 'Islam'", su en.isna.ir, 10 novembre 2001 (archiviato dall'url originale il 18 settembre 2016).
  • ^ Ynetnews News – Khatami slams bin Laden, defends Hizbullah, su ynetnews.com, 9 novembre 2006 (archiviato dall'url originale l'8 settembre 2016).
  • ^ Gordon Corera, Iran's gulf of misunderstanding with US, in BBC News Online, 25 settembre 2006. URL consultato il 22 maggio 2010 (archiviato dall'url originale il 4 aprile 2016)..
  • ^ Iran mourns America's dead, su time.com. URL consultato il 13 giugno 2020 (archiviato dall'url originale il 15 novembre 2010). Time
  • ^ a b Barbara Slavin, Politico Magazine, 19 novembre 2013, https://web.archive.org/web/20140129195150/http://www.politico.com/magazine/story/2013/11/a-failure-to-communicate-100052.html. URL consultato il 4 luglio 2016 (archiviato dall'url originale il 29 gennaio 2014).
  • ^ Karim Aga Khan, Ismaili, 7 aprile 2005, http://ismaili.net/heritage/node/30810. URL consultato il 6 gennaio 2018.
  • ^ Plus: Soccer; Fans in Athens Try To Burn U.S. Flag, in The New York Times, 23 settembre 2001, ISSN 0362-4331 (WC · ACNP). URL consultato il 18 aprile 2018.
  • ^ https://www.pbs.org/wgbh/pages/frontline/bushswar/.
  • ^ Joel Roberts, Plans For Iraq Attack Began on 9/11, CBS News, 4 settembre 2002. URL consultato il 4 settembre 2011.
  • ^ Julian Borger, Blogger bares Rumsfeld's post 9/11 orders, in The Guardian, London, 24 febbraio 2006. URL consultato il 7 ottobre 2009.
  • ^ 9/11 Commission Report (PDF), su avalon.law.yale.edu. pp. 334–336
  • ^ georgewbush-whitehouse.archives.gov, https://georgewbush-whitehouse.archives.gov/news/releases/2003/03/20030322.html. URL consultato il 29 ottobre 2011.
  • ^ theguardian.com, https://www.theguardian.com/world/2003/sep/07/usa.theobserver. URL consultato il 20 marzo 2017.
  • ^ theguardian.com, https://www.theguardian.com/world/2006/sep/12/september11.usa2. URL consultato il 20 marzo 2017.
  • ^ nato.int, NATO, 15 settembre 2001, http://www.nato.int/docu/pr/2001/p01-124e.htm. URL consultato il 4 settembre 2011.
    «Article 5: The Parties agree that an armed attack against one or more of them in Europe or North America shall be considered an attack against them all and consequently they agree that, if such an armed attack occurs, each of them, in exercise of the right of individual or collective self-defence recognised by Article 51 of the Charter of the United Nations, will assist the Party or Parties so attacked by taking forthwith, individually and in concert with the other Parties, such action as it deems necessary, including the use of armed force, to restore and maintain the security of the North Atlantic area. Any such armed attack and all measures taken as a result thereof shall immediately be reported to the Security Council. Such measures shall be terminated when the Security Council has taken the measures necessary to restore and maintain international peace and security.»
  • ^ abc.net.au, Australian Broadcasting Corporation, settembre 2011, http://www.abc.net.au/reslib/201109/r826557_7555516.pdf.
  • ^ George Bush, Text: President Bush Addresses the Nation, in The Washington Post, 20 settembre 2001. URL consultato il 4 luglio 2015.
  • ^ cia.gov, Central Intelligence Agency, febbraio 2003, https://web.archive.org/web/20150224121111/https://www.cia.gov/news-information/cia-the-war-on-terrorism/Counter_Terrorism_Strategy.pdf. URL consultato il 4 luglio 2015 (archiviato dall'url originale il 24 febbraio 2015).
  • ^ U.S. Government Publishing Office, 107th Congress, 18 settembre 2001, http://www.gpo.gov/fdsys/pkg/PLAW-107publ40/pdf/PLAW-107publ40.pdf. URL consultato il 4 luglio 2015.
  • ^ Operation Enduring Freedom – Operations, in GlobalSecurity.org, 2008. URL consultato il 5 luglio 2015.
  • ^ au.af.mil, The Air University, http://www.au.af.mil/au/awc/awcgate/crs/rl32758.pdf. URL consultato il 5 luglio 2015.
  • ^ C.S. Kuppuswamy, Terrorism in Indonesia : Role of the Religious Organisation, South Asia Analysis Group, 2 novembre 2005. URL consultato il 4 settembre 2011 (archiviato dall'url originale l'11 giugno 2007).
  • ^ Rommel Banlaoi, Radical Muslim Terrorism in the Philippines, in Tan (a cura di), Handbook on Terrorism and Insurgency in Southeast Asia, London, Edward Elgar Publishing, 2006.
  • ^ USA Today, https://web.archive.org/web/20181129125643/http://usatoday30.usatoday.com/news/world/2005-06-09-iran-taliban_x.htm. URL consultato il 12 gennaio 2017 (archiviato dall'url originale il 29 novembre 2018).
  • ^ SpongoBongo.com, https://web.archive.org/web/20160819201520/http://www.spongobongo.com/her9940.htm. URL consultato il 12 gennaio 2017 (archiviato dall'url originale il 19 agosto 2016).
  • ^ Ali Soufan, Qassem Soleimani and Iran's Unique Regional Strategy – Combating Terrorism Center at West Point, in CTC Sentinel, 11, Issue 10, novembre 2018 (archiviato dall'url originale il 19 novembre 2018).
    «"In the months after 9/11, Soleimani saw an opportunity to defeat the Taliban once and for all by unconventional means—namely, cooperation with the United States. Early in the war, he directed Iranian diplomats to share intelligence on Taliban military positions with their U.S. counterparts. The Americans, in return, told the Iranians what they knew about an al-Qa`ida fixer hiding out in eastern Iran."»
  • ^ (EN) Anita Gates, Buildings Rise from Rubble while Health Crumbles, in The New York Times, 11 settembre 2006. URL consultato il 23 novembre 2013.
  • ^ (EN) What was Found in the Dust, in The New York Times, 5 settembre 2006. URL consultato il 23 novembre 2013.
  • ^ (EN) New York: 9/11 toxins caused death, in CNN, New York, 24 maggio 2007. URL consultato il 10 luglio 2007 (archiviato dall'url originale il 26 maggio 2007).
  • ^ (EN) Anthony DePalma, Tracing Lung Ailments That Rose With 9/11 Dust, in The New York Times, 13 maggio 2006. URL consultato il 23 novembre 2013.
  • ^ (EN) Updated Ground Zero Report Examines Failure of Government to Protect Citizens, su sierraclub.org, Sierra Club, 2006. URL consultato il 23 novembre 2013 (archiviato dall'url originale l'11 giugno 2010).
  • ^ (EN) Stephen Smith, 9/11 "Wall Of Heroes" To Include Sick Cops, in CBS News, 28 aprile 2008. URL consultato il 23 novembre 2013.
  • ^ (EN) CCCEH Study of the Effects of 9/11 on Pregnant Women and Newborns (PDF), su World Trade Center Pregnancy Study, Columbia University, 2006. URL consultato il 23 novembre 2013 (archiviato dall'url originale il 26 luglio 2011).
  • ^ 9/11 Health Crisis Fact Sheet: The 9/11 Health Crisis, released by the New York Congressional Delegation 9.28.08 (PDF), su 911healthnow.org. URL consultato il 12 giugno 2017 (archiviato dall'url originale il 4 settembre 2017).
  • ^ a b (EN) Michael McAuliff, Why Jon Stewart Fought So Hard For 9/11 Responders, in Huffington Post, 23 dicembre 2015. URL consultato il 12 giugno 2017.
  • ^ (EN) Bill Barnhart, Markets reopen, plunge, in Chicago Tribune, 17 settembre 2001. URL consultato il 23 novembre 2013.
  • ^ a b (EN) Fernandez Bob, U.S. Markets Decline Again, in The Philadelphia Inquirer, 22 settembre 2001.
  • ^ (EN) Dolfman, Michael L., Solidelle F. Wasser, 9/11 and the New York City Economy, in Monthly Labor Review, vol. 127, 2004.
  • ^ a b (EN) Gail Makinen, The Economic Effects of 9/11: A Retrospective Assessment (PDF), su Congressional Research Service, Library of Congress, 27 settembre 2002, p. 5. URL consultato il 23 novembre 2013.
  • ^ (EN) Lesley Hensell, Tough Times Loom For Manhattan Commercial Market, su realtytimes.com, Realty Times, 14 dicembre 2001. URL consultato il 23 novembre 2013 (archiviato dall'url originale il 14 agosto 2011).
  • ^ (EN) Franz Fuerst, Exogenous Shocks and Real Estate Rental Markets: An Event Study of the 9/11 Attacks and their Impact on the New York Office Market, su papers.ssrn.com, 7 settembre 2005. URL consultato il 23 novembre 2013.
  • ^ (EN) James S. Russell, Do skyscrapers still make sense? Revived downtowns and new business models spur tall-building innovation., su archrecord.construction.com, Architectural Record, 7 novembre 2004. URL consultato il 23 novembre 2013 (archiviato dall'url originale l'8 agosto 2011).
  • ^ (EN) Dipasis Bhadra, Pamela Texter, Airline Networks: An Econometric Framework to Analyze Domestic U.S. Air Travel, in Journal of Transportation and Statistics, Dipartimento dei Trasporti degli Stati Uniti, 2004. URL consultato il 21 maggio 2008 (archiviato dall'url originale il 30 marzo 2005).
  • ^ Thomas Heath, Bin Laden's war against the U.S. economy, in The Washington Post, 3 maggio 2011.
  • ^ Suzy Khimm, Osama bin Laden didn't win, but he was 'enormously successful', in The Washington Post, 3 maggio 2011.
  • ^ Bernardo J. Carducci, The Psychology of Personality: Viewpoints, Research, and Applications, Wiley-Blackwell, 20 febbraio 2009, pp. 200–, ISBN 978-1-4051-3635-8.
  • ^ Gary Botting, Crazy Gran, Singapore: Strategic, 2016
  • ^ Sara Quay e Amy Damico, September 11 in Popular Culture: A Guide, Greenwood Publishing Group, 14 settembre 2010, ISBN 978-0-313-35505-9.
  • ^ Joshua Norman, 9/11 conspiracy theories won't stop, CBS News, 11 settembre 2011.
  • ^ After 9/11, Some Run Toward Faith, Some Run The Other Way, in HuffPost, 29 agosto 2011. URL consultato il 6 aprile 2013.
  • ^ Faith and Doubt at Ground Zero – The Question of God, in PBS Frontline. URL consultato il 6 aprile 2013.
  • ^ Brad Schmidt, Ph.D., psychologytoday.com, http://www.psychologytoday.com/articles/200201/anxiety-after-911. URL consultato l'11 ottobre 2013.
  • ^ Andrew Scobell, Terrorism in the Asia-Pacific: Threat and Response, in The Journal of Asian Studies, vol. 63, n. 4, 2004, pp. 1078–79, DOI:10.1017/S0021911804002463.
  • ^ Francis Miko e Froehlich, fas.org, Federation of American Scientists, 27 dicembre 2004, https://fas.org/irp/crs/RL32710.pdf. URL consultato il 4 settembre 2011.
  • ^ Anti-terrorism Act, CBC News, 27 febbraio 2007. URL consultato il 12 novembre 2013.
  • ^ Q and A: Anti-terrorism legislation, in BBC News Online, 17 ottobre 2003. URL consultato il 4 settembre 2011.
  • ^ Sam Coates, After all the fuss dies down, what really happened, in The Times, 10 novembre 2005. URL consultato il 4 settembre 2011.
  • ^ legislation.co.nz, New Zealand Government, https://web.archive.org/web/20111219044052/http://legislation.co.nz/act/public/2002/0034/19.0/DLM2493700.html. URL consultato il 4 settembre 2011 (archiviato dall'url originale il 19 dicembre 2011).
  • ^ Roger Beck, 20, in Modern World History, Holt McDougal, 2004, pp. 657–8, ISBN 978-0-618-69012-1.
  • ^ nytimes.com, 6 giugno 2013, https://www.nytimes.com/2013/06/07/opinion/president-obamas-dragnet.html.
  • ^ sensenbrenner.house.gov, 6 giugno 2013, https://web.archive.org/web/20130610061511/http://sensenbrenner.house.gov/news/documentsingle.aspx?DocumentID=337001 (archiviato dall'url originale il 10 giugno 2013).
  • ^ fbi.gov, Federal Bureau of Investigation, https://web.archive.org/web/20101010030053/http://www.fbi.gov/about-us/history/famous-cases/9-11-investigation/9-11-investigation. URL consultato l'11 aprile 2012 (archiviato dall'url originale il 10 ottobre 2010).
  • ^ fbi.gov, Federal Bureau of Investigation, 6 febbraio 2002, https://web.archive.org/web/20100410013616/http://www.fbi.gov/congress/congress02/watson020602.htm. URL consultato il 4 settembre 2011 (archiviato dall'url originale il 10 aprile 2010).
  • ^ Unraveling 9–11 Was in the Bags, in Newsday, 6 febbraio 2009. URL consultato l'11 aprile 2012.
  • ^ Richard A. Clarke, Against All Enemies: Inside America's War on Terrorism, New York, Simon & Schuster, 2004, pp. 13–14, ISBN 978-0-7432-6823-3.
  • ^ fbi.gov, Federal Bureau of Investigation, https://www.fbi.gov/news/pressrel/press-releases/fbi-announces-list-of-19-hijackers. URL consultato il 4 settembre 2011.
  • ^ fbi.gov, Federal Bureau of Investigation, https://www.fbi.gov/news/pressrel/press-releases/the-fbi-releases-19-photographs-of-individuals-believed-to-be-the-hijackers. URL consultato il 4 settembre 2011.
  • ^ David Johnston, TWO YEARS LATER: 9/11 TACTICS; Official Says Qaeda Recruited Saudi Hijackers to Strain Ties, in The New York Times, 9 settembre 2003. URL consultato il 4 settembre 2011.
  • ^ Piece by piece, the jigsaw of terror revealed, in The Independent, London, 30 settembre 2001. URL consultato il 4 settembre 2011 (archiviato dall'url originale il 15 ottobre 2009).
  • ^ 9/11 Commission Report (PDF), su avalon.law.yale.edu. pp. 266–272
  • ^ The Manhunt Goes Global, su time.com. URL consultato il 13 giugno 2020 (archiviato dall'url originale il 9 novembre 2012). Time magazine October 15, 2001
  • ^ John Tagliabue e Raymond Bonner, A Nation challenged: German Intelligence; German Data Led U.S. to Search For More Suicide Hijacker Teams, in The New York Times, 29 settembre 2001. URL consultato il 4 settembre 2011.
  • ^ 9/11 Commission Report (PDF), su avalon.law.yale.edu. pp. 276–277
  • ^ The proof they did not reveal, in Sunday Times, 7 ottobre 2001 (archiviato dall'url originale il 16 novembre 2001).
  • ^ ucr.fbi.gov, Federal Bureau of Investigation, 28 ottobre 2002, p. 2, https://ucr.fbi.gov/crime-in-the-u.s/2001/toc01.pdf. URL consultato il 12 settembre 2018.
  • ^ Mark Hanrahan, Henryk Siwiak, Shot To Death On September 11th: Case Remains Unsolved, in Huffington Post, 8 settembre 2011. URL consultato il 6 settembre 2016.
  • ^ (EN) Philip Giraldi, Deep Background, in The American Conservative, 1º aprile 2005. URL consultato il 23 novembre 2013 (archiviato dall'url originale il 25 dicembre 2018).
  • ^ (EN) Katherine Shrader, Senators Want CIA to Release 9/11 Report, in San Francisco Chronicle, Washington, D.C., Associated Press, 17 maggio 2007. URL consultato il 14 aprile 2008 (archiviato dall'url originale il 17 ottobre 2007).
  • ^ Press Release of Intelligence Committee, su intelligence.senate.gov., Senate and House Intelligence Committees Announce Joint Inquiry into the September 11 Terrorist Attacks, February 14, 2002.
  • ^ gpoaccess.gov, https://web.archive.org/web/20100807204747/http://www.gpoaccess.gov//serialset/creports/911.html. URL consultato il 10 agosto 2010 (archiviato dall'url originale il 7 agosto 2010).
  • ^ a b c Athan G. Theoharis, editor, The Central Intelligence Agency: Security Under Scrutiny, Greenwood Publishing Group, p. 222-224, su books.google.com., 2006, ISBN 0-313-33282-7
  • ^ Ali Watkins, Senate intelligence panel could seek to declassify documents; it just doesn't, su mcclatchydc.com, McClatchy Washington Bureau, 12 agosto 2013 (archiviato dall'url originale il 3 settembre 2014).
  • ^ Improving Intelligence, su pbs.org., PBS interview with Sen. Bob Graham, December 11, 2002.
  • ^ Chris Mondics, Struggling to detail alleged Saudi role in 9/11 attacks, su articles.philly.com., Philadelphia Inquirer, March 31, 2014.
  • ^ Paul Sperry, Inside the Saudi 9/11 coverup, su nypost.com., New York Post, December 15, 2013.
  • ^ April 10, 2014 Letter to Barack Obama (PDF), su jones.house.gov (archiviato dall'url originale il 7 settembre 2016)., signed by Representatives Walter B. Jones Jr. and Stephen Lynch.
  • ^ Jake Tapper, Why hasn't Obama kept promise to declassify 28 pages of a report about 9/11?", su thelead.blogs.cnn.com. URL consultato il 13 giugno 2020 (archiviato dall'url originale il 3 agosto 2021)., CNN, September 8, 2014.
  • ^ Lawrence Wright, The Twenty-Eight Pages, in The New Yorker, 9 settembre 2014. URL consultato il 30 agosto 2019.
  • ^ Euan McKirdy,, CNN, June 14, 2016.
  • ^ " Why Obama doesn't want 9/11 families suing Saudi Arabia, su usatoday.com.". USA Today. September 23, 2016.
  • ^ " Saudi Arabia threatens to pull $750B from U.S. economy if Congress allows them to be sued for 9/11 terror attacks, su nydailynews.com.". Daily News (New York). April 16, 2016.
  • ^ " Mayor de Blasio joins Democrats in calling on President Obama to go after Saudi Arabia on 9/11 ties, su nydailynews.com.". Daily News (New York). April 19, 2016.
  • ^ (EN) Richard A. Posner, The 9/11 Report: A Dissent, in The New York Times, 29 agosto 2004. URL consultato il 23 novembre 2013.
  • ^ (EN) Ed Henry, Republicans amplify criticism of 9/11 commission, in CNN, Washington, D.C., 26 aprile 2004. URL consultato il 23 novembre 2013.
  • ^ (EN) NIST's World Trade Center Investigation, su National Institute of Standards and Technology, Dipartimento del commercio degli Stati Uniti d'America, 14 dicembre 2007. URL consultato il 3 maggio 2008 (archiviato dall'url originale il 10 ottobre 2002).
  • ^ National Construction Safety Team, Executive Summary (PDF), in Final Report on the Collapse of the World Trade Center Towers, National Institute of Standards and Technology, Dipartimento del Commercio degli Stati Uniti d'America, settembre 2005. URL consultato il 21 maggio 2008 (archiviato dall'url originale il 28 novembre 2005).
  • ^ (EN) Pete Sigmund, Building a Terror-Proof Skyscraper: Experts Debate Feasibility, Options, su constructionequipmentguide.com, 25 settembre 2002. URL consultato il 23 novembre 2013.
  • ^ (EN) Translating WTC Reccomendations Into Model Building Codes, su wtc.nist.gov, NIST, 25 ottobre 2007. URL consultato il 24 gennaio 2008 (archiviato dall'url originale il 15 maggio 2006).
  • ^ (EN) Reports of the Federal Building and Fire Investigation of the World Trade Center Disaster, su wtc.nist.gov, NIST, 25 ottobre 2005. URL consultato l'8 settembre 2006 (archiviato dall'url originale il 24 novembre 2005).
  • ^ (EN) Steve Hermann, Simulation finds 9/11 fireproofing key, in Fox News, Indianapolis. URL consultato il 2 ottobre 2007 (archiviato dall'url originale il 25 giugno 2007).
  • ^ Saudi diplomats 'links to 9/11 attackers', in The Week, 20 aprile 2016.
  • ^ US to reveal Saudi official allegedly tied to 9/11 attackers, in Al-Jazeera, 13 settembre 2019.
  • ^ Deb Riechmann, File 17 Is Glimpse Into Still-Secret 28 Pages About 9/11, in Associated Press, 2 luglio 2016.
  • ^ CIA and Saudi Arabia Conspired to Keep 9/11 Details Secret, New Book Says, in Newsweek, 28 agosto 2018.
  • ^ 11 settembre 2001: 800 famiglie delle vittime fanno causa a Riad, su lastampa.it.. La Stampa. Esteri. 21 marzo 2017.
  • ^ (EN) Anthony DePalma, Many Ground Zero Workers Gain Chance at Lawsuits, in The New York Times, 18 ottobre 2006. URL consultato il 23 novembre 2013.
  • ^ (EN) Larry Neumeister, Associated Press, Judge Slams Ex-EPA Chief Over Sept. 11, in Associated Press, 2 febbraio 2006. URL consultato il 3 maggio 2008 (archiviato dall'url originale il 24 maggio 2008).
  • ^ (EN) John Heilprin, White House edited EPA's 9/11 reports, in Seattle Post-Intelligencer, Washington, D.C., 23 giugno 2003. URL consultato il 23 novembre 2013.
  • ^ (EN) Ben Smith, Rudy's Black Cloud. WTC health risks may hurt Prez bid, in Daily News, 18 settembre 2006. URL consultato il 21 maggio 2008 (archiviato dall'url originale il 18 giugno 2008).
  • ^ (EN) Tess Taylor, Rebuilding in New York, in Architecture Week, n. 68, 26 settembre 2001. URL consultato il 23 novembre 2013 (archiviato dall'url originale l'11 maggio 2011).
  • ^ (EN) Silent Tribute Marks End of Ground Zero Search, in Fox News, New York, 30 maggio 2002. URL consultato il 23 novembre 2013 (archiviato dall'url originale il 22 ottobre 2012).
  • ^ (EN) Sam Lubell, Charles Linn, Power Struggle Heats Up While Development Moves Slowly at Ground Zero, su archrecord.construction.com, Architectural Record, 5 dicembre 2005. URL consultato il 23 novembre 2013 (archiviato dall'url originale il 25 dicembre 2018).
  • ^ (EN) Russ Buettner, Fat cats milked Ground Zero, in New York Daily News. URL consultato il 3 gennaio 2016.
  • ^ (EN) Christy Oglesby, Phoenix rises: Pentagon honors 'hard-hat patriots', in CNN, 11 settembre 2002. URL consultato il 13 giugno 2008 (archiviato dall'url originale il 18 dicembre 2004).
  • ^ (EN) Honoring the fallen, From New York to Texas, Americans pay respect to the victims of terrorism, The Dallas Morning News, 15 settembre 2001.
  • ^ (EN) Frank Ahrens, Sorrow's Legions; Washingtonians Gather With Candles, Prayers And a Shared Grief, in The Washington Post, 15 settembre 2001. URL consultato il 23 novembre 2013 (archiviato dall'url originale il 10 giugno 2014).
  • ^ (EN) Bush Thanks Canadians for Helping After 9/11, Halifax, Fox News, 1º dicembre 2004. URL consultato il 23 novembre 2013 (archiviato dall'url originale il 26 agosto 2011).
  • ^ (EN) Pete Sigmund, Crews Assist Rescuers in Massive WTC Search, su cegltd.com, Construction Equipment Guide, 26 settembre 2001. URL consultato il 23 novembre 2013 (archiviato dall'url originale il 24 febbraio 2008).
  • ^ (EN) Tribute in light to New York victims, in BBC News, 6 marzo 2002. URL consultato il 23 novembre 2013.
  • ^ (EN) Stephen Smith, Associated Press, WTC Memorial Construction Begins, in CBS News, 13 marzo 2006. URL consultato il 23 novembre 2013.
  • ^ New York inaugura il memorial 9/11, su viaggi.corriere.it, DoveViaggi.it. URL consultato il 29 settembre 2016.
  • ^ 11/9, inaugura il museo di Ground Zero. Obama: "Sia luogo di pace e riconciliazione", in la Repubblica, 15 maggio 2014.
  • ^ Tregua Obama-McCain per l'11/9. L'America ricorda i suoi morti, in la Repubblica, 11 settembre 2008.
  • ^ (EN) Timothy Dwyer, Pentagon Memorial Progress Is Step Forward for Families, in The Washington Post, 26 maggio 2007. URL consultato il 23 novembre 2013.
  • ^ (EN) DefenseLINK News Photos - Pentagon's America's Heroes Memorial, su defenselink.mil, Dipartimento della difesa degli Stati Uniti. URL consultato il 23 novembre 2013 (archiviato dall'url originale il 30 novembre 2009).
  • ^ (EN) Associated Press, Sept. 11 Flight 93 Memorial Design Chosen, in Fox News, Washington, D.C., 8 settembre 2005. URL consultato il 23 novembre 2013 (archiviato dall'url originale il 22 maggio 2013).
  • ^ (EN) Flight 93 Memorial Project, su nps.gov, Flight 93 Memorial Project / National Park Service. URL consultato il 23 novembre 2013.
  • ^ (EN) 911 Memorials List, su List of 911 and World Trade Center Memorials Across U.S. and the World. URL consultato il 23 novembre 2013 (archiviato dall'url originale il 9 marzo 2017).
  • ^ (EN) Ford Fessenden, 9/11; After the World Gave: Where $2 Billion in Kindness Ended Up, in The New York Times, 18 novembre 2002. URL consultato il 23 novembre 2013.
  • ^ (EN) Cinnamon Stillwell, The Truth About 9/11 Conspiracy Theories, in San Francisco Chronicle, 19 aprile 2006. URL consultato il 23 novembre 2013 (archiviato dall'url originale il 16 maggio 2012).
  • ^ (EN) Zdenek P. Bazant, Verdure, M., Mechanics of Progressive Collapse: Learning from World Trade Center and Building Demolitions (PDF), in Journal of Engineering Mechanics, vol. 133, n. 3, American Society of Civil Engineers, marzo 2007, pp. 308-319, DOI:10.1061/(ASCE)0733-9399(2007)133:3(308). URL consultato il 23 novembre 2013.
  • ^ "Confronting the Evidence", in RAI, 24 settembre 2006. URL consultato il 13 settembre 2019 (archiviato dall'url originale il 29 settembre 2011).
  • Bibliografia

    Voci correlate

    Altri progetti

    Collegamenti esterni

    Controllo di autoritàVIAF (EN315679777 · Thesaurus BNCF 62701 · LCCN (ENsh2001000147 · GND (DE4667841-4 · BNE (ESXX549856 (data) · BNF (FRcb137450433 (data) · J9U (ENHE987007563709605171 · NDL (ENJA00956404
    🔥 Top keywords: Pagina principaleSpeciale:RicercaGabriella FerriSammy BassoMauro Repetto883 (gruppo musicale)Federica NargiLuca BarbareschiProgeriaI Cugini di CampagnaSteven SeagalMax PezzaliLyle ed Erik MenéndezJannik SinnerTomáš MacháčMonica GuerritoreNovak ĐokovićTadej PogačarAlessandro MatriMatilda De AngelisOguchi OnyewuTommaso MariniIl collezionista (film 1997)Paola IezziGastón PereiroCarlo AcutisCitadel: DianaLinea M4 (metropolitana di Milano)Manuel AgnelliGiacomo GianniottiAlan FriedmanFurkan PalalıAchille Lauro (cantante)UNIFILMassimiliano OssiniInganno (miniserie televisiva)Joker: Folie à DeuxTennisti primi in classifica ATPCitadel (serie televisiva)