Patient Blood Management

Il Patient Blood Management (PBM) è un approccio multimodale e multidisciplinare adottato per limitare l'uso e la necessità di trasfusioni di sangue in tutti i pazienti a rischio, con l'obiettivo di migliorarne i risultati clinici, affrontando i fattori di rischio trasfusionale modificabili, ancora prima che sia necessario ricorrere alla trasfusione stessa.[1][2]

Sebbene il PBM di solito si riferisca a pazienti chirurgici, il suo utilizzo clinico si è gradualmente evoluto negli ultimi anni e ora si riferisce anche a condizioni non chirurgiche.[1]

Caratteristiche

Il PBM è una strategia incentrata sul paziente volta a ridurre al minimo l'uso di emocomponenti e migliorare i risultati nei pazienti.[1][3][4][5][6]

Il ricorso a trasfusioni è un fattore di rischio rilevante per molte complicanze osservate in pazienti ricoverati, tra cui la TRALI e le infezioni nosocomiali e può contribuire ad un peggior outcome del paziente, determinando un maggior rischio di morbilità e mortalità.[7]

Il PBM ha tre obiettivi principali:[1]

  1. migliorare il volume corpuscolare dei globuli rossi, compresi trattamenti stimolanti l'eritropoiesi e integratori di ferro e vitamine;
  2. ridurre al minimo la perdita di sangue, ad esempio ottimizzando le tecniche chirurgiche e anestetiche, il trattamento con acido tranexamico e il deposito autologo del sangue;
  3. sfruttare e ottimizzare la tolleranza all'anemia promuovendo la massima funzionalità polmonare e cardiaca e applicando una soglia trasfusionale restrittiva.[3]

Da quando è stato descritto per la prima volta, numerosi ricercatori hanno cercato di combinare i singoli elementi di questi tre obiettivi, al fine di promuovere la gestione ottimale del paziente in vari contesti clinici.[1] Uno dei più importanti campi di applicazione del PBM è in ambito peri-operatorio.[1][8][9]

Alcuni dei rischi e delle complicanze storicamente legati alle trasfusioni di sangue (ad esempio la trasmissione di agenti patogeni) sono stati in gran parte mitigati grazie ai progressi della medicina trasfusionale.[1][10][11] Tuttavia, l'anemia e le trasfusioni sono associate ad un aumento della morbilità e della mortalità nei pazienti chirurgici (un paziente sottoposto ad un intervento di chirurgia maggiore in condizione di anemia può avere un rischio di mortalità maggiore dal 3% al 10%)[12], e l'applicazione sistematica di un programma PBM nel periodo peri-operatorio è stata costantemente applicata per migliorare i risultati clinici dei pazienti dopo interventi chirurgici.[1][13][14]

In seguito, il programma PBM è stato esteso per includere indicazioni non chirurgiche, e ricercatori hanno tentato di applicare questo approccio a diverse condizioni cliniche, inclusi i pazienti critici nelle unità di terapia intensiva, i pazienti con disturbi epatici o insufficienza cardiaca e in ostetricia.[1][15][16][17]

L’implementazione di questi percorsi diagnostico-terapeutici multidisciplinari può infine apportare un contenimento della spesa sanitaria, con una riduzione del 10-20% dei costi trasfusionali.[2]

Storia

Il termine “Patient Blood Management” è stato utilizzato per la prima volta nel 2005 dal professor James Isbister, un ematologo australiano, che riteneva che l'attenzione della medicina trasfusionale dovesse essere cambiata, dall'emocomponente al paziente.[1][18]

Durante una sessione della Assemblea mondiale della sanità nel 2010 fu adottata la risoluzione WHA63.12, che riportava raccomandazioni sulla sicurezza e disponibilità degli emocomponenti.[7] Il PBM consisteva inizialmente in tecniche farmacologiche e non farmacologiche, da adottare prima, durante e dopo l’intervento chirurgico, per evitare che il paziente arrivi in sala operatoria in condizione di anemia.[12]

L’Italia è il primo paese in cui il PBM è supportato ufficialmente da un ministero.[12] Nel 2013 fu citato all’interno del Programma di autosufficienza nazionale del sangue e dei suoi prodotti del Centro nazionale sangue.[7] Nel 2014 vennero emanate le linee guida del PBM in Italia, articolate in 6 moduli: sanguinamento critico e trasfusione massiva; peri-operatorio; patologie mediche acute o croniche; terapia intensiva; ostetricia; pediatria/neonatologia.[2] Nel 2015 furono pubblicate le "Raccomandazioni per l’implementazione del programma di Patient Blood Management", primo ufficiale documento di PBM italiano; il Decreto del Ministro della Salute del 2 Novembre 2015, definì ed implementò sul territorio nazionale specifici programmi, con particolare riferimento alla preparazione del paziente agli interventi chirurgici programmati.[7]

Note

Collegamenti esterni

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