Effetto Papageno

effetto procurato dai mass media

L'effetto Papageno è l'effetto che i mass media possono suscitare presentando alternative non suicide alle crisi. Prende il nome da un personaggio innamorato, Papageno, dell'opera del XVIII secolo Il flauto magico di Wolfgang Amadeus Mozart. Il personaggio stava contemplando il suicidio fino a quando altri personaggi non gli mostrarono un modo diverso di risolvere i suoi problemi.[1]

Scena del Flauto magico in cui i tre genietti fanno desistere Papageno dal suicidio incitandolo a suonare dei campanelli magici, per effetto dei quali riappare la sua amata.

Storia

Se un romanzo o una notizia possono indurre autolesionismo, allora si deve presumere che quelle narrazioni potrebbero avere un effetto positivo sulla prevenzione.[2] Vi sono più ricerche sul danno arrecato dai "resoconti dei media irresponsabili" che sugli effetti protettivi delle storie positive, ma quando i giornali rifiutano di pubblicizzare eventi suicidi o cambiano il modo in cui forniscono informazioni sugli eventi suicidi, il rischio di emulazione dei suicidi diminuisce.[1]

Nel 2018 la Northwestern University intervistò 5000 adolescenti e loro genitori negli Stati Uniti d'America, nel Regno Unito, in Brasile, in Australia e in Nuova Zelanda per esplorare il loro giudizio su Tredici, una controversa trasmissione televisiva prodotta da Netflix. La ricerca fece emergere che guardare lo spettacolo aveva stimolato conversazioni tra adolescenti e genitori su bullismo, suicidio e salute mentale. Cosa ancora più importante, lo spettacolo aveva portato gli adolescenti a mostrare più empatia per i loro coetanei. Lo studio fece scoprire che i genitori e gli adolescenti erano interessati a trovare maggiori informazioni sulla prevenzione del suicidio.[3]

È stato affermato che rappresentazioni appropriate del suicidio, che mostrano conseguenze negative o conseguenze alternative, potrebbero avere un effetto preventivo e potenziare il pubblico vulnerabile nell'incoraggiare la ricerca di aiuto e normalizzare i problemi di salute mentale.[4]

Studi recenti

Un esempio eclatante si è verificato a Vienna, in Austria, dove i media hanno visto aumentare notevolmente il numero di suicidi emulatori. La riduzione è iniziata quando un gruppo di lavoro dell'Associazione austriaca per la prevenzione del suicidio ha sviluppato linee guida per i media e avviato discussioni con i media che sono culminate con un accordo ad astenersi dal riferire su casi di suicidio.[5] Esempi di suicidi di celebrità hanno innescato suicidi di massa comprendono quelli di Ruan Lingyu, dei musicisti giapponesi Yukiko Okada e Hide, dell'attrice sud coreana Choi Jin-Sil, la cui azione ha innalzato il livello dei suicidi del 162.3%[6] e di Marilyn Monroe, la cui morte fu seguita da un aumento di 200 suicidi in più rispetto alla media per quel mese di agosto.[7]

Un famoso caso di immolazione fu quello di Mohamed Bouazizi, un venditore ambulante tunisino che si diede fuoco il 17 dicembre 2010, un'azione che fece da catalizzatore alla Rivoluzione tunisina e che scatenò la Primavera araba, durante la quale diversi uomini emularono l'atto di Bouazizi. Uno studio del 2017, pubblicato su JAMA Internal Medicine, ha rilevato che la serie online '13 Reasons Why, che raccontava il suicidio di una adolescente, era associata a un aumento delle ricerche su Internet correlate al suicidio, compreso un aumento del 26% delle ricerche su "come suicidarsi", del 18% per "suicidarsi" e del 9% per "come uccidersi".[8] Il 29 maggio 2019, una ricerca pubblicata su JAMA Psychiatry ha delineato un'associazione dell'aumento dei suicidi nei ragazzi di età compresa tra 10 e 19 anni negli Stati Uniti nei 3 mesi successivi alla messa in onda della trasmissione 13 Reasons Why, coerente con un contagio mediatico di suicidio a seguito dello spettacolo.[9] Tuttavia, alcuni elaborati di studiosi dei media hanno dimostrato che la visione di 13 Reasons Why non era associata a ideazione suicida ma in realtà a sintomi depressivi ridotti.[10] La relazione tra causa ed effetto tra media e suicidio non è semplice da dimostrare.[4]

La professoressa Sonia Livingstone ha sottolineato che l'affermazione della causalità nell'effetto mediatico non può essere considerata conclusiva a causa dei diversi approcci metodologici e prospettive disciplinari[11]. Anche se è accettato che i media possono avere un effetto sull'ideazione del suicidio, non è una condizione sufficiente per indurre le persone a suicidarsi; gli effetti che i media possono avere sul comportamento suicida sono certamente meno importanti dei fattori di rischio psicologico e sociale dell'individuo.[12] Tuttavia, i giornalisti e i produttori di contenuti multimediali rimangono responsabili dell'applicazione di linee guida etiche per prevenire il suicidio e aiutare le persone vulnerabili.

Contromisure contro il suicidio

Per arginare il problema dell'effetto Werther e incentivare l'effetto Papageno, oltre ai modi per chiedere aiuto da parte di chi ha istinti suicidi come parlarne con un familiare, un amico, uno psicologo oppure chiamare il 112 o il Telefono Amico, l'OMS cura un manuale che consiglia ai media come diffondere la notizia di un suicidio. Esso viene aggiornato periodicamente, l’ultima volta nel 2017 e si intitola "Preventing suicide: a resource for media professionals" cioè “Prevenire il suicidio: una guida per i professionisti dei media”. Le principali linee guida sono:

  • spiegare a lettori, ascoltatori e telespettatori le notizie riguardo a un suicidio di cui si parla dando anche delle informazioni sulla prevenzione del suicidio;
  • non diffondere pregiudizi e leggende metropolitane sui suicidi e non descrivere certi luoghi come posti in cui è comune che le persone si uccidano, né dare molti dettagli sul luogo in cui una persona si è suicidata, specialmente se famosa;
  • scrivere degli articoli su come si possono affrontare i pensieri suicidi e come si può chiedere aiuto;
  • non dare eccessivo spazio e importanza alle notizie che riguardano i suicidi;
  • non usare titoli sensazionalistici quando si parla di un suicidio e non usare l’espressione “suicidio” nel titolo;
  • non normalizzare o romanticizzare il suicidio quando lo si descrive, non presentarlo come un’alternativa a un problema;
  • non riportare in modo esplicito il modo in cui una persona si è suicidata;
  • non diffondere foto o video che mostrano il corpo della persona che si è suicidata e non fornire link ai profili social della persona in questione;
  • fare particolare attenzione quando si parla del suicidio di una persona famosa;
  • fare particolare attenzione se si decide di intervistare una persona che conosceva la persona morta o che ne era parente perché queste persone possono essere a rischio di farsi del male a loro volta.[13][14]

Note