Jean-Pierre Melville

regista, sceneggiatore e attore francese

Jean-Pierre Melville, nato Jean-Pierre Grumbach (Parigi, 20 ottobre 1917Parigi, 2 agosto 1973), è stato un regista, sceneggiatore, produttore cinematografico e attore francese, maestro del noir e del poliziesco nel suo Paese[1][2].

Biografia

Jean-Pierre Melville nacque a Parigi il 20 ottobre del 1917 in una famiglia ebraica ashkenazita originaria dell'Alsazia. Uomo introverso e dalla personalità complessa e scontrosa, appassionato sin dall'infanzia di cinema, maturò una profonda ammirazione per la cultura statunitense, tanto da assimilarne atteggiamenti feticistici per il resto della sua vita.

Durante la seconda guerra mondiale combatté nelle file della resistenza francese sotto il nome di battaglia di Melville, in onore dello scrittore e poeta statunitense Herman Melville (e che in seguito adotterà legalmente come cognome), collaborando poi attivamente all'Operazione Dragoon, ovvero lo sbarco delle truppe alleate nella Francia meridionale. Le sue esperienze belliche saranno poi riversate nel film L'armata degli eroi (1969), trasposizione cinematografica di un romanzo del 1943 di Joseph Kessel.

Gli inizi nel cinema

Al termine del conflitto, Melville cercò di ottenere dal Sindacato dei Tecnici una tessera di assistente-tirocinante per poter diventare un regista cinematografico. Rivelatisi però infruttuosi i suoi numerosi tentativi d'introdursi nel mondo della celluloide, decise alla fine di operare in completa autonomia, finanziando di tasca propria i suoi film.

Dopo un primo cortometraggio in 16 mm, l'esordio cinematografico vero e proprio avvenne nel 1947 con Il silenzio del mare, tratto dall'omonimo romanzo di Vercors. La povertà di mezzi, così come la sua rocambolesca produzione, non minarono però il notevole esito della pellicola che gli diede subito fama di intellettuale, specialista di trasposizioni letterarie, al punto che lo stesso Jean Cocteau in persona lo richiederà espressamente per adattare sullo schermo il suo romanzo I ragazzi terribili nel 1950.

Bob il giocatore (1955) fu il suo primo film “noir”, che risentì fortemente dell'influenza dei capisaldi del genere, quali Giungla d'asfalto (1950) di John Huston, La fiamma del peccato (1944) di Billy Wilder, Rififi (1954) di Jules Dassin e Grisbì (1954) di Jacques Becker.

Studi Jenner e rapporti con la Nouvelle Vague

Nel medesimo periodo, Melville acquistò alcuni magazzini abbandonati in Rue Jenner, al fine di adibirli a teatri di posa per le riprese in interni delle sue pellicole, che utilizzerà fino al 1967, anno in cui un incendio ne causò la distruzione. Creò così, nel cuore della capitale francese, un piccolo e anomalo caso di indipendenza produttiva, piuttosto audace per l'epoca ma molto ben organizzata, suscitando l'ostilità corporativa delle istituzioni cinematografiche francesi.

Fu ben presto considerato un precursore dai giovani registi emergenti della Nouvelle Vague, come François Truffaut[3], Jean-Luc Godard, che lo chiamò simbolicamente a interpretare il ruolo dello scrittore Parvulesco in Fino all'ultimo respiro (1959), e Claude Chabrol, che in lui apprezzarono particolarmente anche lo stile registico aderente alla realtà (molte riprese in esterni, budget ridotti, utilizzo di attori semisconosciuti, rifiuto del maquillage)[4].

Dopo l'insuccesso del suo secondo film noir, l'atipico e "semidocumentaristico" Le jene del quarto potere (1959), da lui anche interpretato, Melville cominciò a virare verso una diversa tipologia di cinema, "classico" e astratto allo stesso tempo, ma sempre più destinato a un vasto pubblico, che lo allontanerà gradualmente dal movimento[5], finché nel 1968, sentendosene concettualmente sempre più estraneo, interruppe polemicamente i rapporti attirandosi un prolungato ostracismo da parte dei Cahiers du cinéma e della critica ad essa collegata[6].

La svolta

Léon Morin, prete (1961) introduce tali mutamenti di prospettiva[7] in quanto finanziato e distribuito secondo canoni industriali e interpretato da divi affermati come Jean-Paul Belmondo.
Pervaso da una riflessione irrisolta su laicismo e religione, vi affiorano i primi rimandi significativi al cinema di Robert Bresson[8] che tanta importanza avrà successivamente per l'autore.

Ritornò con successo al noir dirigendo Lo spione (1962) e Lo sciacallo (1963), attraverso i quali sviluppò ulteriormente alcune peculiarità stilistiche, quali l'atmosfera priva di speranza (derivata dall'hard boiled), la geometria dell'intreccio[9] e l'espressione idealizzata della centralità maschile (spesso erroneamente scambiata per misoginia).

Le vette artistiche

Tutte le ore feriscono... l'ultima uccide (1966) con Lino Ventura protagonista, è un eccellente noir, secco e amaro, in cui la forma minimalista e il rigore dei toni raggiungono una piena maturità artistica e stilistica.
Crescono i temi distintivi: l'apparente assenza di motivazioni nelle azioni dei personaggi, il codice di lealtà dei suoi antieroi[10], la prevalenza degli aspetti psicologici e spirituali sul ritmo narrativo, il confronto-scontro tra malavitosi e poliziotti in un intricato gioco di alter ego. Dall'interno delle predeterminate strutture del genere, Melville inizia così un percorso di innovazione linguistica, sottile ma incisivo.

Frank Costello faccia d'angelo (1967), è considerato il suo capolavoro. Vi «si concentrano tutti gli elementi dell'universo melvilliano con una tale secchezza di stile e perfezione, da creare un universo dalla bellezza implacabile e glaciale»[11]. Lo spietato e nichilistico mondo del milieu viene ritratto in maniera spoglia ed astratta, e le sinossi tipiche del "polar"[12] si svolgono in un clima rarefatto e con scansioni da tragedia greca[13].
La pellicola segna inoltre l'avvio del rapporto professionale del regista con Alain Delon, interprete esemplare dei personaggi melvilliani, rassegnati ad un destino fatale ma al contempo fieri e solidali.

L'armata degli eroi (1969), originale film bellico accolto in maniera discordante e accusato di essere pro-gollista, contiene reminiscenze autobiografiche del periodo resistenziale. Il risultato è un modello cinico ed antiretorico della guerra partigiana non scevro dal raccontare episodi crudeli e realistici.

I senza nome (1970) è l'opera di maggior successo di Melville, summa-testamento della sua filosofia cinematografica basata sul determinismo. Polar impostato quasi come se fosse un western, grazie a una sceneggiatura meticolosa, a un ottimo cast e a un uso sapiente del colore e della colonna sonora[14], il cineasta riesce a equilibrare la naturale tendenza allo schematismo. Nella continua ricerca dell'essenzialità perfetta, la sua maestria e coerenza formale raggiungono qui il proprio apice[15]. Rivalutato anche dagli esperti dopo più di un decennio d'oblio[16], I senza nome è oggi universalmente riconosciuto come una pellicola di culto del cinema poliziesco.

Ultimo periodo

L'ultima pellicola, considerata dalla critica solo parzialmente riuscita, ma in realtà un altro fulgido esempio di freddo e inesorabile noir francese, è Notte sulla città (1972), amaro apologo sulla vendetta e sulla giustizia, con protagonista Alain Delon nelle vesti del commissario Coleman, affiancato da Richard Crenna, Riccardo Cucciolla, Michael Conrad e Catherine Deneuve. Il tiepido riscontro al botteghino e il poco entusiasmo della critica rappresentarono una cocente delusione per l'autore parigino.

Mentre stava lavorando alla sceneggiatura del suo film successivo, morì improvvisamente il 2 agosto del 1973 in seguito a una crisi cardiaca sopraggiunta durante le riprese di una cena in un hotel della capitale. Il suo corpo venne tumulato nel Cimitero parigino di Pantin.

Rivalutazione critica ed ascendenze

Artista solitario e controverso, maniacale controllore di tutte le fasi della lavorazione (curava operativamente persino il montaggio alla moviola)[17], Melville è stato largamente incompreso dalla critica specializzata[18] che non lo valorizzò mai adeguatamente.

In seguito ad alcuni omaggi, come Driver l'imprendibile (1978) di Walter Hill, e studi inediti, è stato ampiamente riconsiderato fino alla consacrazione come uno dei più importanti innovatori della settima arte. Un contributo fondamentale alla riscoperta è stato fornito negli anni novanta da alcuni registi delle nuove generazioni cimentatisi nel “polar” (soprattutto americani ed asiatici), debitori dichiarati del suo singolare cinema. Tra questi vanno ricordati Michael Mann (Heat - La sfida, 1995), Quentin Tarantino (Le iene, 1992), Takeshi Kitano (Sonatine, 1993), John Woo (The Killer, 1989)[19], Jim Jarmusch (Ghost Dog - Il codice del samurai 1999) e Wim Wenders[20].

Filmografia

Cortometraggi
  • Vingt-quatre heures de la vie d'un clown (1945)
Lungometraggi
Attore

Note

Bibliografia

  • [1] Bibliografia fino al 2002 da Tesi on line di Luisa Carretti
  • (EN) [2] Bibliografia da Together Alone: The Outsider Cinema of Jean-Pierre Melville di Adrian Danks
  • [3] Pino Gaeta, Jean Pierre Melville, Il Castoro Cinema n. 146, Editrice Il Castoro, 1996, ISBN 888033073X
  • [4][collegamento interrotto] Mauro Gervasini, Cinema poliziesco francese, Le Mani, Recco, 2003 (capitolo dedicato a Jean Pierre Melville)
  • [5] Monografia su Jean Pierre Melville a cura di Emanuela Martini e Mauro Gervasini, Editrice Il Castoro, 2008, in collaborazione con 26° Torino Film Festival
  • [6][collegamento interrotto] Valerio Carando, Il clan dei cineasti. L'estetica del noir secondo Jean-Pierre Melville, José Giovanni, Henri Verneuil, Prospettiva Editrice, Civitavecchia, 2011. ISBN 978-88-7418-741-6
  • Denitza Bantcheva, Roberto Chiesi, Il cinema noir francese. Mitologie, figure, autori, Gremese Editore, Roma, 2015. ISBN 978-88-8440-819-8
  • Copia archiviata, su shangrilaediciones.com. URL consultato il 22 febbraio 2015 (archiviato dall'url originale il 22 febbraio 2015). José Francisco Montero, Jean-Pierre Melville. Crónicas de un samurái, Editorial Shangrila, Santander, 2014. ISBN 978-84-942545-4-3

Altri progetti

Collegamenti esterni

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