Utente:Cunhal94/Storia di Ruvo di Puglia

Voce principale: Ruvo di Puglia.

La storia di Ruvo di Puglia inizia con la fondazione dei primi villaggi nel 2000 a.C. e giunge fino ai nostri giorni.

Toponimo

Grande bronzo della zecca di Ruvo; al dritto è raffigurato Giove Appulo coronato da un serto di alloro, al rovescio un'aquila su fulmini ed è riportata la dicitura ΡΥΨ, il nome della città.

Gli studiosi di ogni epoca hanno sempre incontrato difficoltà nell'offrire una giusta interpretazione etimologica del nome di Ruvo. Salvatore Fenicia, storico ruvese dell'800, nella sua Monografia di Ruvo di Magna Grecia non riuscì a trarne la derivazione adducendo la causa alle frequenti distruzioni della città che hanno portato ad un caso, etimologicamente parlando, di damnatio memoriae[1]. Lo stesso risultato ottenne l'archeologo, contemporaneo al Fenicia, Giovanni Jatta che riuscì però a sciogliere alcune errate interpretazioni del nome di Ruvo nell'antichità e a ricavare la radice e il nome greco della città, su cui concordò Fenicia stesso. Jatta, infatti, individuò prima gli scrittori del mondo classico che hanno citato Ruvo partendo dal Netium di Strabone, identificandolo con un territorio tra Canosa e Ceglie (quindi Gravina o Ruvo) e non come un luogo sconosciuto[2], per passare al Rubustini di Plinio il Vecchio (che indica chiaramente la popolazione ruvese)[3][4], al Rubos di Orazio[4], al Rubustinus ager di Sesto Giulio Frontino[5] per finire con l'equivoco del Ruvo pugliese scambiato per il Ruvo campano da Roberto Stefano[6] e dai commentatori antichi di Virgilio ed Orazio che avevano scambiato Rubi per Ruvo del Monte e Rufris (nome latino di Ruvo del Monte) per Ruvo di Puglia[7]. Infine Jatta nell'introduzione alla sua opera smentì anche l'ipotesi di coloro che identificavano Rudiae, città natale del poeta latino Quinto Ennio, con Ruvo poiché sono presenti i resti archeologici della sua vera patria tra Taranto e Brindisi[8]. Di parere totalmente avverso a Jatta fu Gaetano Moroni, autore del Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica, il quale colloca tra gli uomini illustri di Ruvo Domenico Cotugno e il poeta Quinto Ennio per poi identificare la stessa Ruvo con la Rudium di Strabone e affibbiarle il nome latino Ruben[9].

Moneta della zecca di Ruvo di età greca; sul dritto è raffigurata Atena Galeata, sul rovescio la civetta di Atena sormontata dalla scritta ΡΥΒΑΣΤΕΙΝΑ

Come si evince le fonti sono discordi e parecchio distanti l'una dall'altra. Tuttavia si può affermare con certezza che Ruvo sia stata chiamata dai Greci colonizzatori, molto probabilmente Arcadi, "Ρυψ" (Rhyps, da leggere "Riùps"). Molti studiosi hanno così focalizzato l'attenzione sulla radice "Ρυ-" (Rhy-, da leggere "Riù"), intesa o come "terra abbondante di rovi" (tipici della macchia mediterranea) o come "terra pianeggiante"[10], tanto che l'attuale stemma comunale dovrebbe provenire da un originario stemma rappresentante un vaso con all'interno dei rovi[11]. Sicuramente il nome della città risale alle popolazioni autoctone che con questo termine solevano indicare una peculiarità del territorio. Molto probabile è che i primi abitanti della Puglia e delle Murge abbiano assistito allo sfaldamento del territorio ad opera di vari fiumi e torrenti, rendendolo calcareo, che si sono poi inabissati nelle profondità della terra formando i tipici fenomeni carsici presenti nella regione, confermando dunque l'origine marina della Puglia[10]. Quindi i primi abitanti della Terra di Bari con la radice "Ρυ-" volevano indicare quella zona o quel territorio in cui scorrevano violentemente le acque e trascinavano fino all'Adriatico le rocce calcaree[10]. In seguito con la colonizzazione greca si è passati al nome "Ρυψ" per indicare la città e al termine "Ρυβαστὲινων" (Rhybasteinon, si legge "Riubasteinon") per indicare la popolazione locale spesso abbreviata in "Ρυβα" (Rhyba, da leggere "Riuba") su alcune monete[10]. Con la dominazione dei Romani, "Ρυψ" si trasformò prima in "Riba" e infine in "Rubi", assumendo anche la forma di pluralia tantum[10].

Storia

Dai Morgeti ai Romani

(LA)

«Inde Rubos fessi pervenimus, utpote longum
carpentes iter et factum corruptius imbri.»

(IT)

«Quindi arriviamo stanchi a Ruvo, perché ci eravamo sorbiti
una lunga strada fatta più malegevole per la pioggia.»

Piazza Menotti Garibaldi, epigrafe di Gordiano III

Alcuni manufatti di pietra lavorata rivelano l'insediamento di alcune popolazioni nell'agro ruvese già nel paleolitico medio mentre resti di villaggi neolitici dimostrano la presenza dell'uomo fin dal VI millennio a.C.[13].Durante l'età del bronzo, l'area attinente a Ruvo di Puglia fu successivamente abitata dai Morgeti, un popolo ausonico, intorno al 2000 a.C. e si stabilirono nella zona della strada che porta dal pulo di Molfetta a Matera facendo sorgere un villaggio di capanne a circa 15 chilometri da Ruvo[13]. Con l'età del ferro e con l'arrivo degli Iapigi dall'Illiria i Morgeti furono costretti a migrare verso sud[13]. Gli Iapigi si distinsero in tre differenti gruppi e culture, i Messapi nel Salento, i Peuceti nella Terra di Bari e i Dauni nella provincia di Foggia[13]. I Peuceti dunque ereditarono l'insediamento protourbano di Ruvo esistente già tra l'XI e il X secolo a.C., come attestano insediamenti e reperti antichi[13]. Ruvo fu fondata inizialmente come un villaggio in cima alla collina dove oggi sorge la pineta comunale e la chiesa di San Michele Arcangelo[11][14]. Il piccolo villaggio si dotò subito di una propria moneta e diventò subito una delle principali città-stato peucete trattenendo rapporti con gli altri villaggi indigeni della zona e con gli Etruschi a nord e con le prime colonie della Magna Grecia a sud, soprattutto grazie ad un emporio marittimo, indicato dalle fonti antiche con il nome di Respa, nei pressi di Molfetta[15]. Tra il VIII e V secolo a.C. alcuni gruppi di colonizzatori provenienti dall'Arcadia[16] colonizzarono pacificamente il villaggio peuceta, sovrapponendosi e integrandosi con la comunità già esistente, trasformandolo in una autonoma città greca dal nome Rhyps[11]. Grazie all'arrivo dei greci la città visse il momento di massimo splendore intorno al IV secolo a.C. potendo vantare un territorio molto esteso (l'agro rubastino di età greca comprendeva Molfetta, Terlizzi, Corato, Trani e Bisceglie) ed una popolazione mai più raggiunta[11]. Ruvo divenne una florida città greca e la sua ricchezza era basata sugli scambi commerciali di olio e vino e su una fiorente produzione di vasellame da trasporto e da servizio, come testimoniano i numerosissimi reperti rinvenuti durante le campagne di scavo effettuate dagli Jatta, dai Caputi e dai Fenicia nell'800 e che contribuiranno, molti secoli dopo, a far riscoprire il valore storico della città e dandone lustro soprattutto grazie al famoso Vaso di Talos e alla Tomba delle danzatrici (conservata nel Museo Archeologico Nazionale di Napoli)[13]. La città divenne prima protetta di Atene[17], come dimostrano alcune monete dotate della Atena galeata tipiche della potenza attica, poi strinse un'alleanza con Taranto raggiungendo l'apice della propria potenza militare[11]. Fu in questo periodo che a Ruvo giunsero i numerosissimi vasi dalla Grecia e gli ori dagli scambi commerciali intrattenuti con gli Etruschi. La fondamentale testimonianza della potenza e dell'estensione della greca Ruvo è senza dubbio l'immensa necropoli che si estendeva dai piedi della originaria collina fino all'attuale centro cittadino[18]. La necropoli ha svolto un ruolo di primo piano nell'aumentare la fama a livello internazionale della città, per le migliaia di reperti peuceti, greci e latini, e nella costruzione del patrimonio storico antico dimenticato fino ai primi del '900. Nell'agro ruvestino inoltre sorsero numerosi villaggi tra i quali alcuni nei pressi di Calentano e della contrada Mattine[11].

Largo Annunziata, sede dell'antico foro romano di Rubi

A seguito delle Guerre sannitiche e della guerra contro Taranto, la città entrò nell'orbita di Roma. Sotto la dominazione romana Rubi godette di numerosi privilegi tra i quali l'autonomia legislativa[11]. Tuttavia col passare del tempo questa libertà venne limitata con l'assegnazione della cittadinanza romana e del titolo di municipium. L'importanza di Ruvo nell'età romana è testimoniata dal passaggio della Via Traiana e da una epigrafe, oggi collocata in piazza Menotti Garibaldi, dedicata all'imperatore Gordiano III. Ruvo infatti fu una stazione, ovvero un punto di ristoro, della strada voluta dall'imperatore Traiano a metà cammino tra Canosa di Puglia e Bitonto. La stessa strada venne percorsa dal poeta venosino Quinto Orazio Flacco come riportato nelle Satire nell'iter Brundisinum[19]. Nel I secolo d.C. Ruvo vide sorgere una delle prime diocesi del Cristianesimo: la leggenda narra che San Pietro passò due volte da Ruvo nel 44 e la prima volta convertì alcuni pagani del luogo mentre la seconda volta, in fuga da Roma dalle persecuzioni dell'imperatore Claudio, riconvertì gli stessi fedeli che erano tornati al paganesimo lasciando come primo vescovo della città e della regione pugliese San Cleto (futuro terzo Papa), per mantenere viva la fede nella nascente comunità cristiana[11]. I primi cristiani ruvestini si riunivano in una cisterna che fungeva da catacomba e da luogo di culto; in questo luogo inoltre fu scolpita nella pietra una statua del santo tanto che il luogo viene identificato attualmente come la "Grotta di San Cleto"[11]. Sotto la dominazione romana la pianta della città doveva molto probabilmente coincidere con il centro storico come dimostrano i resti di una domus al di sotto della Concattedrale[13]. In epoca imperiale però Ruvo subisce una prima diminuzione del territorio poiché intorno al V secolo sorgono le città Molfetta, Trani e Bisceglie, impedendo così il contatto con il mare[11].

Dai Goti agli Aragonesi

Lo stesso argomento in dettaglio: Battaglia di Ruvo.
(LA)

«Fortissima castra Rubis»

(IT)

«Il fortissimo castello di Ruvo»

Gli ultimi due torrioni rimasti delle mura medievali di Ruvo nei pressi di via Veneto

Per Ruvo il V secolo segnò la fine della potenza e dell'influenza economica, politica e militare. Alla caduta dell'Impero d'Occidente infatti subì le invasioni dei Goti che rasero al suolo la città greca rendendola un cumulo di macerie e facendo così elevare il suolo attuale di circa 5 o 7 metri[11]. I sopravvissuti si spostarono dunque a valle della collina edificando la nuova città al di sopra della necropoli e di costruzioni già esistenti[11] per poi essere conquistati dai Longobardi[13]. Nell'857 Ruvo fu preda dei Saraceni che si stabilirono nei pressi della chiesa del Purgatorio e nel largo tuttora chiamato Fondo Marasco (evoluzione di Fondo Moresco)[13]. Per evitare di ritrovarsi impreparati innanzi ai nemici, i ruvestini dotarono la nuova città medievale di altissime mura dotate di torri quadrate e di ben quattro porte: Porta Noè (attuale via Veneto), Porta del Buccettolo (via Campanella), Porta del Castello (piazza Matteotti) e Porta Nuova (corso Piave)[11]. Nell'XI secolo, terminate i devastanti flussi dei barbari, la città-fortezza entrò nella Contea di Conversano sotto l'epoca Svevo-Normanna. Tuttavia il conte di Conversano Tancredi formò una coalizione con altri baroni della zona ribellandosi al re Ruggero II di Sicilia il quale nel 1129 riconquistò tutte le città in rivolta tra cui Ruvo, l'unica ad opporre una strenua e valorosa resistenza grazie alle potenti mura. La leggenda vuole che Ruggero II, vista la difficoltà nell'espugnare Ruvo, avesse indotto con l'astuzia qualche barone locale a tradire la città consentendone così la conquista[11]. La dominazione Sveva, specialmente nell'arco di tempo che va dal 1166 al 1266, rappresentò per la comunità ruvese la tanto auspicata rinascita economica e culturale. In questo periodo infatti fu innalzata la Cattedrale romanica e il campanile. Nella stessa epoca tra Ruvo e Canosa, per volere di Federico II, fu costruito il Castel del Monte[11]. Inoltre l'agro ruvestino subì una seconda riduzione poiché Pietro il Normanno fondò le città di Corato e Andria.

La lapide che ricorda la partenza da Ruvo dei tredici francesi per la Disfida di Barletta

Dal 1266 al 1435, la città entrò nell'epoca Angioina diventando feudo con dei propri casali. Con la morte del re Andrea d'Ungheria nel 1345, Ruvo si trovò nel mezzo dello scontro tra Angioini e Ungheresi e nel 1350 fu nuovamente saccheggiata e rasa al suolo da Ruggiero Sanseverino dopo una lunghissima resistenza dei ruvesi protrattasi fino al primo pomeriggio del giorno seguente[11]. Probabilmente fu in questo momento necessaria la costruzione di una gigantesca torre, alta 33 metri, detta Torre del Pilota nei pressi del Castello[11]. La sua base copriva l'intero ovale presente al centro di piazza Matteotti e fungeva da prigione, fortino e luogo di difesa[11]. Inoltre la torre, prima della costruzione dei vari fari sulla costa adriatica, fungeva da giorno da riferimento in modo da rendere sicuri gli approdi dei marinai alle loro città, mentre di notte si soleva accendere un luminoso fanale appeso dalla parte settentrionale del convento di Sant'Angelo nella parte più alta della città[21]. In seguito all'aggressione, gli abitanti dei casali di Calentano e della contrada Mattine si ritirarono in città danneggiando così l'economia agricola locale[11]. Furono così riparate le mura già esistenti con una solida costruzione e furono rivestite di un secondo muro di pietra; anche la Torre fu rinforzata con l'aggiunta di un bastione e di un fossato. Anche l'agro di Terlizzi viene distaccato definitivamente da Ruvo in questo periodo. Al dominio Angioino si succedette quello Aragonese fino al 1503. Fino al 1499 il feudo di Ruvo fu possedimento dei Del Balzo per poi trovarsi coinvolto nella guerra d'Italia del 1499-1504[11]. Durante il conflitto i francesi si stanziarono nella città sotto la guida di Louis d'Armagnac, duca di Nemours, e il 13 febbraio 1503 da Ruvo partirono i tredici francesi che parteciparono alla Disfida di Barletta dopo aver partecipato alla messa d'augurio nella chiesa di San Rocco[22]. La chiesetta di San Rocco fu eretta dalla popolazione nel 1503 in seguito alla peste che colpì la città. La tradizione vuole che il santo di Montpellier fosse apparso al vescovo di Ruvo e al primo magistrato travestito da viandante invitandoli a pregare. Così la popolazione ruvestina in segno di riconoscenza verso il santo eresse un tempio e fu acclamato santo patrono[23]. Tuttavia tra il 22 e il 23 febbraio 1503, durante l'assenza del duca di Nemours, la città sotto il comando di Jacques de La Palice subì un agguato notturno da parte di Consalvo di Cordova che saccheggiò e distrusse l'intero centro cittadino, tanto che per i detriti e le macerie il manto stradale s'innalzò ancora di un metro, come dimostra il dislivello tra la Cattedrale e l'asfalto[11]. Lo scontro passerà alla storia sotto il nome di battaglia di Ruvo.

Il dominio dei Carafa (1510-1806)

(LA)

«Quondam magna fui totum urbs celebrata per orbem, si modo non eadem splendida fama patet»

(IT)

«Un tempo fui una grande città celebrata per tutto il mondo e se non sono più la stessa ne rifulge la splendida fama»

Lo stemma dei Carafa, conti di Ruvo dal 1510 al 1806

Nel 1510 il feudo comitale di Ruvo fu venduto dai Requesens al cardinale Oliviero Carafa, il quale lo acquistò per il fratello Fabrizio che unì la Contea di Ruvo al Ducato d'Andria nel 1522[25]. Con l'arrivo dei Carafa scomparvero le più antiche famiglie patrizie e nobili lasciando così la città al libero arbitrio della famiglia napoletana e di quelle emergenti. Nel 1516 sotto Fabrizio furono riedificate e risolidificate le mura dopo l'assalto di Consalvo da Cordova: vennero riedificati anche i torrioni questa volta dotati di feritoie e pianta circolare, com'è visibile anche oggi, e fu fortificata la porta principale della città ovvero Porta Noé, dotata anche di saracina nel caso venisse sfondata la porta, sormontata dallo stemma comunale, da una nicchia con le statue in pietra dei tre santi patroni di Ruvo, San Cleto, San Biagio e San Rocco, e dall'iscrizione in latino riportata sopra[26]. Tuttavia se per quasi due secoli Ruvo visse un periodo di pace, le ripercussioni dell'insediamento del nuovo casato gravarono direttamente sulla popolazione e sull'economia strette nella morsa avida e soffocante dei Carafa, i quali nominarono gli Amministratori Comunali, trasformarono la Torre del Pilota in prigione per gli oppositori, assoldarono dei facinorosi per tenere sotto controllo il popolo, si servirono delle ultime famiglie nobili rimaste in città per esercitare pressioni e permisero ai Locati Abruzzesi di effettuare la transumanza nell'agro ruvese[11]. Tutto questo portò a conseguenze disastrose la città che determinarono la riduzione della popolazione, il fallimento del Comune (costretto a vendere la contrada Difesa nel 1632 a causa dei debiti) e il passaggio delle proprietà terriere dalle mani dei contadini a quelle degli ecclesiastici[11]. Inoltre tutti i documenti comunali furono trasportati da Ruvo ad Andria[27]. Nonostante questo a Ruvo sorsero i vari palazzi nobiliari, espressioni della potenza e della buona condizione economica delle famiglie locali, appartenenti alla famiglie Griffi, Avitaia, Caputi e Rocca (in seguito il palazzo sarà acquistato dalla famiglia Spada)[13]. Furono edificati anche edifici religiosi come il Convento di San Domenico e il Convento dei Cappuccini oltre ad alcune case palaziate tra cui quella dei Rubini[13].

Domenico Cotugno

Il benessere del feudo di Ruvo toccava solo le fasce aristocratiche e a queste si affiancava il clero guidato dal vescovo, il quale consolidò il proprio ruolo con la nascita di due nuove chiese (la chiesa del Purgatorio e del Carmine) e con la fondazione delle varie confraternite nell'epoca della controriforma, tra cui l'Arciconfraternita del Carmine, formata quasi esclusivamente da ecclesiastici, la quale si pose come il sodalizio più ricco e influente del paese[28]. Assieme alle altre confraternite (Confraternita Opera Pia San Rocco, Confraternita del Purgatorio e Confraternita Purificazione-Addolorata) svolgeva attività caritativo-assistenziali[29] e tuttora curano i riti della Settimana Santa di Ruvo di Puglia[30]. Tuttavia sotto i Carafa nel XVI secolo fu istituita la festa maggiore patronale dell'Ottavario: secondo la tradizione infatti il Conte di Ruvo, Ettore Carafa senior, al ritorno da una battuta di caccia dalla contrada Parco del Conte, entrato in città mentre si stava avviando la processione del Corpus Domini, attraversò il corteo rompendolo in due blocchi; la popolazione inveì contro il Conte ma al momento del passaggio del Santissimo Sacramento il suo cavallo si inchinò in segno di rispetto facendo cadere il Duca d'Andria, il quale stupito e amareggiato per l'accaduto decise di far ripetere la festa otto giorni dopo istituendo così la processione dell'Ottavario[31]. Il 1600 fu un secolo che vide diminuire vertiginosamente la popolazione ruvese dai 5816 abitanti ai 700, poiché dilaniata dai terremoti del 1626 e 1627 e dalla peste del 1656[13]. In quest'epoca si ricordano uomini illustri di Ruvo come Antonio Avitaja (1621-1678)[32], letterato e sindaco nel 1646, Orazio Rocca (1674-1742)[33], magistrato e benefattore perseguitato dai Carafa, ma soprattutto Domenico Cotugno, medico, anatomista e chirurgo, scopritore delle cause della sciatica e dei condotti interni all'orecchio[34]. Sotto il Conte Ettore Carafa, Ruvo vide un leggero miglioramento per via dei suoi ideali giacobini. Tuttavia nel 1806 con la discesa delle truppe napoleoniche nel sud Italia, il feudalesimo fu abolito e così terminò il dominio dei Carafa durato tre secoli[11].

I moti liberali e il Risorgimento

«Non v'à Sovrano che non sappia che Ruvo sia stata paripara de' più belli cimeli; non v'à archeologo che non consideri li vasi e gli altri oggetti antichi di Ruvo come li più interessanti e gli migliori del Mondo»

Arrivo (o partenza) di un giovane guerriero, British Museum; uno dei tanti vasi dell'immenso patrimonio archeologico di Ruvo

Con la nascita della Repubblica Partenopea e l'arrivo dei francesi nell'Italia meridionale nel 1799, a Ruvo, a quel tempo sotto il controllo del Duca d'Andria e Conte di Ruvo Ettore Carafa, scoppiarono disordini e insurrezioni: sulla Torre dell'Orologio (costruita nel '600) fu issato il tricolore e nella piazza principale fu piantato l'albero della libertà[11]. Ma presto si diffuse la falsa notizia che la marina inglese bombardasse tutte le città della costa che avessero piantato l'albero; la popolazione colta dalla paura si affrettò a demolire il cipresso, senza pensare che le cannonate dal mare degli inglesi non sarebbero mai potute giungere fino alle mura di Ruvo, per poi aggredire i liberali e gli Amministratori Comunali che si erano prodigati nel piantare il simbolo della rivoluzione[36]. La città cadde così nell'anarchia a seguito dei moti antirepubblicani. Ad accorrere in aiuto di Ruvo furono il Conte Ettore Carafa e il magistrato Giovanni Jatta, due uomini di ideali completamente differenti, l'uno nobile e l'altro liberale e avverso al casato del Conte. Carafa, dopo aver visto bruciare Andria nel conflitto tra sanfedisti e francesi, nonostante avesse appoggiato gli ideali repubblicani favorendo l'azione del generale Broussier, cercò invano la tregua per la sua città natale e per Ruvo constatando il degenerare della situazione per poi finire sul patibolo una volta fallita la rivoluzione[11]. Jatta, già eletto dai ruvesi come avvocato della città, nel 1794 impugnò la difesa di Ruvo nelle controversie con i Locati Abruzzesi per poi scagliarsi anche contro il conte Carafa mirando alla disgregazione del feudo[37]. Tuttavia questa causa intrapresa svelò le sue tendenze liberali e fu così costretto all'esilio in Svizzera per poi tornare a Napoli al seguito del generale Championnet. Arrivato a Ruvo organizzò la guardia nazionale e riportò l'ordine in città ma qualche mese dopo la rivoluzione era definitivamente fallita. Al ritorno dei Borbone sul torno del Regno di Napoli il suo nome fu inserito tra i rei di Stato e costretto a dieci anni di esilio[38]. Riprese le attività giudiziarie nel 1803 ottenne accordi con i Carafa e con la legge sul Tavoliere risolse le questioni con i Locati Abruzzesi[38]. Il Comune di Ruvo passò da fallito ad annoverato tra i più ricchi della provincia[11]. Dopo che fu ristabilito l'ordine furono allontanati da Ruvo i Domenicani poiché troppo ricchi e la loro chiesa di San Domenico fu affidata alla Confraternita della Purificazione[39]. Jatta inoltre fu testimone dei primi scavi di Pompei ed Ercolano e contagiato dall'entusiasmo dette il via agli scavi che si tramutarono in una vera e propria febbre. Jatta si trasformò in collezionista e si avvalse dei migliori esperti raccogliendo così i migliori reperti archeologici e allestendo una collezione privata[37]. Oltre alla famiglia Jatta anche i Fenicia e i Caputi crearono delle collezioni di vasi fittili e monete[40]. Alla morte di Giovanni Jatta la collezione fu unita a quella del fratello Giulio e fu quindi istituito il museo[37]. Tante furono le anticaglie e i reperti riportati alla luce dal sotto suolo e molti di questi vennero venduti ai privati e ai regnanti dell'epoca che dettero poi vita al Museo Archeologico di Napoli. Le scoperte del vasellame greco permise di consegnare Ruvo non solo alla storia dell'epoca ma anche alla storia antica, poiché nessuno studioso ai primi dell'800 avrebbe mai saputo dire qualcosa in merito alla fondazione della città[37]. Per Ruvo la scoperta del ricco e antico patrimonio fu la giusta ricompensa dopo secoli bui. In età napoleonica fu edificato il cimitero di Ruvo, fuori dalle mura cittadine, ad opera dell'architetto Tommaso Ferrieri Caputi in seguito all'editto di Saint Cloud[41].

Monumento a Francesco Rubini in Largo Di Vagno

Ristabilitosi il dominio dei Borboni con il Regno delle Due Sicilie, nel 1817 sorse a Ruvo una vendita carbonara chiamata "Perfetta Fedeltà" con 162 iscritti tra cui lo stesso Tommaso Ferrieri Caputi, Vincenzo Cervone e Francesco Rubini, promuovendo le lotte liberali e costituzionali[11]. Nonostante lo scioglimento delle società segrete nel 1821 per opera di Ferdinando I, i patrioti ruvesi continuarono nella loro azione nelle case tra cui quelle dei fratelli Marino e Pasquale Cervone oppure nella chiesa della Madonna dell'Isola ora non più esistente. Il personaggio di spicco dei moti del 1848 fu senza dubbio Francesco Rubini, il quale aderì anche alla Giovine Italia, fu più volte elogiato da Giuseppe Mazzini e Giuseppe Garibaldi[42], e si acquistò la fama di instancabile predicatore, capace di infiammare gli animi della popolazione, tanto che per la sua attività nel 1849 fu arrestato e processato[43]. Scarcerato dopo due anni e costretto alla vigilanza di polizia, fu considerato altamente pericoloso anche durante il breve regno di Francesco II. Il 6 settembre del 1860 fu nominato da Garibaldi governatore con pieni poteri, liberando così i liberali catturati dal generale Pallavicino, e costituì il triumvirato della "Nuova Italia" con Giovanni Jatta junior e Vincenzo Chieco; divenne poi comandante delle sei compagni capitanate da altrettanti ruvesi e poi nominato da Bettino Ricasoli primo Maggiore della guardia nazionale, incarico svolto fino al 1886[44]. Inoltre ospitò a Ruvo assieme a Cervone Menotti Garibaldi, nella villa da quel giorno chiamata "Caprera", per reclutare volontari per la campagna di Trento[44]. Rifiutò la carica di prefetto e di Cavaliere del Regno d'Italia, tanto da essere definito da Giovanni Bovio e Matteo Renato Imbriani l'avvocato rinunziatutto[45]. Nel 1861 si schierò con la sinistra storica ma resto convinto che il popolo italiano era ancora da forgiare e restò molto amareggiato per l'andamento economico, politico e sociale dopo l'unità d'Italia[45].

Dal 1861 al progresso industriale

«[...] Tutte le mie cose sono ottime: i cittadini, il clima, il terreno, il latte,la frutta, le biade, il fragrante miele ed i graditi vini. Sano i malati e rendo più robusti i corpi sani.Soffèrmati a Ruvo, se vuoi condurre una buona vita.»

Monumento ai Caduti in piazza Bovio

Nel periodo post-unitario Ruvo conobbe un momento di crescita e di produttività anche grazie alla persona e alle azioni del politico Antonio Jatta che si occupò delle condizioni del lavoro in Puglia da deputato del Regno d'Italia. I miglioramenti erano frutto delle nuove infrastrutture come la ferrovia, le numerose strade, che misero in contatto la città con il resto della Puglia, e i mezzi di comunicazione. Le varie contrade furono rivalutate e si trasformarono in fiorenti vigne, oliveti e mandorleti e i latifondi furono distribuiti. La popolazione crebbe velocemente dando un rinnovato lustro alla cittadina. Anche l'urbanistica della città mutò radicalmente: agli inizi dell'800 infatti furono abbattute le mura e le porte lasciando in piedi solo due torrioni poiché l'antica muraglia non permetteva il corretto flusso dell'aria e dunque contribuiva ad una precaria condizione igienica. Nel 1820 la prima scuola pubblica di Ruvo fu affidata ai Padri Scolopi e nello stesso periodo furono avviati i lavori per la strada Corato-Ruvo-Terlizzi.Durante il 1857 Ruvo fu sconvolta da una epidemia che colpì la gola di molti bambini; ancora una volta la popolazione ricorse alla fede esponendo le reliquie di San Biagio. Dopo poco tempo l'epidemia scomparve e il santo armeno fu nominato copatrono della città[47]. Fino al 1861 rimase integra la Torre del Pilota che fu acquista dal Comune, ristrutturata e sgombrata del bastione che la cingeva e fu trasformata in ufficio telegrafico[11]. Tuttavia l'eliminazione del bastione rese instabile la struttura che alle ore 22:00 del 18 febbraio 1881 si accasciò al suolo[11]. La base ovale della torre fu livellata ed è oggi utilizzata per manifestazioni e concerti[11]. Nello stesso anno entrò in funzione la Ferrotramviaria consentendo così la comunicazione con i paesi limitrofi. Nel 1905 anche Ruvo fu provvista di luce elettrica che resto però a lungo un privilegio di pochi mentre un elemento a vantaggio dell'intera popolazione fu costituito dalla realizzazione dell'Acquedotto Pugliese nel 1914. Durante la prima guerra mondiale molti soldati ruvesi versarono il loro sangue per la patria e al termine della guerra in piazza Bovio fu eretto un monumento ai 367 ruvesi caduti per la patria. Al termine della guerra seguì la spaventosa epidemia di febbre spagnola che colpì anche Ruvo causando un elevatissimo numero di morti. Durante il ventennio fascista fu bonificata l'area del pantano, portatrice di malaria, creata la fognatura nel 1933 e inaugurato nel 1938 il Cinema Vittoria. Molte furono però le contestazione contro il regime di Mussolini da parte degli operai e dei contadini che assalirono la Casa del Fascio presente in piazza Matteotti. Esempio di antifascismo fu il sacerdote Domenico Paparella, considerato il "Don Sturzo ruvese": organizzò la sezione locale del Parito popolare rifiutando la tessera del Partito Nazionale Fascista, al cui rifiuto seguirono i pestaggi da parte degli squadristi[48]. Paparella organizzava i giovani e li esortava ad esercitare ogni attività democratica che avrebbe potuto infastidire i fascisti[48]. Fu incarcerato con una finta accusa di aver sparato sulla folla ma le autorità furono costrette a liberarlo vista la pressione del popolo ruvese che piuttosto attaccavano gli squadristi che avevano ordito il complotto[48]. Altro antifascista fu l'ingegnere Egidio Boccuzzi, linciato anch'egli per aver rifiutato la tessera del PNF poiché socialista[49]. Boccuzzi fu falsamente accusato di errori di progettazione e dunque sospeso, ma l'ingegnere Sylos-Labini, chiamato per verificare la sua incompetenza, non trovò nulla che non tornasse riabilitandolo come professionista ma non come funzionario per volere del regime[49]. Boccuzzi progettò l'edificio della scuola elementare "Giovanni Bovio", l'Istituto Sacro Cuore, la chiesa del Redentore e il viale e alcune cappelle del cimitero[50]. Ruvo fu liberata subito dopo l'armistizio di Cassibile e dunque vide entrare in città gli americani nel 1943. Nel secondo dopoguerra la città si distinse nel panorama culturale con i fratelli Antonio e Alessandro Amenduni, entrambi compositori, divenuti famosi per le marce funebri che accompagnano le processioni della Settimana Santa di Ruvo di Puglia e Domenico Cantatore, pittore, divenuto famoso a livello internazionale per le sue odalische e per i paesaggi che richiamano la Puglia ma soprattutto Ruvo. A livello produttivo e industriale, il comune si è dotato della zona industriale al sorgere degli anni '60 ed è diventata particolarmente nota a livello nazionale e internazionale per l'olio extravergine d'oliva e per il vino DOC Castel del Monte.

Bibliografia

Note

Voci correlate

Collegamenti esterni

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