Purāṇa

I Purāṇa (devanāgarī: पुराण; lett. "antiche [storie]") sono un gruppo di testi sacri hindū, redatti in lingua sanscrita, di carattere principalmente mitico e cultuale, il cui scopo primario è anche quello dell'educazione religiosa di coloro che non sono considerati dvija (i "nati due volte", i componenti delle prime tre caste hindū: brāhmaṇa, kṣatriya e vaiśya), quindi gli śudra e le donne, ai quali è severamente proibito l'ascolto o la lettura dei testi detti Shruti, ovvero le raccolte dei quattro Veda.

Immagine di una copia risalente al XVIII secolo del Bhāgavata Purāṇa che illustra Kṛṣṇa circondato dalle gopī

Per questa ragione i Purāṇa, che fanno parte della raccolta Smriti[1], sono indicati anche come il "quinto" Veda"[2] già a partire dalla Chāndogya Upaniṣad[3]. Dal punto di vista tradizionale, la letteratura degli Itihāsa-Purāṇa è una letteratura scritta a differenza di quella vedica che è originariamente trasmessa oralmente e fondata soprattutto sulla sonorità (śabda)[4].

Origini e stile

Il termine purāṇa compare già nelle scritture vediche con il significato di "antica tradizione"[5] finendo per indicare, col tempo, quelle raccolte di narrazioni tradizionali inerenti ai miti e alle pratiche di culto, il cui autore, secondo la tradizione, sarebbe il mitico Vyāsa (lett. "il Compilatore").

Questi testi affondano, quindi e probabilmente, le loro radici in un passato remoto, essendo un vero e proprio ricettacolo di saperi tradizionali, originariamente narrati da bardi detti sūta.

La critica moderna ritiene, tuttavia, che i Purāṇa più antichi, considerati però nella forma giunta a noi, vadano fatti risalire a redazioni compiute nei primi secoli della nostra era[6].

Così Stefano Piano:

«Ritengo che sia lecito supporre che testi alternativi al Veda e adatti alla formazione religiosa delle donne e dei "non rigenerati"[7] esistessero in India da tempi molto antichi; di tali testi continuamente arricchiti di nuovi materiali, dovettero cominciare a formarsi, attorno ai primi secoli, dell'era volgare e per iniziativa dei brahmani, le prime raccolte, probabilmente differenziate in base alle esigenze particolari delle diverse comunità e alla loro collocazione geografica.»

Essendo prevalentemente indirizzati alle caste "inferiori", il sanscrito utilizzato in questi testi è piuttosto semplice, presentando perfino delle irregolarità grammaticali e delle frasi idiomatiche popolari, nonché influenze dialettali[8]. Per la stessa ragione, la messa per iscritto e la copiatura di tali testi è, a differenza per quelli contenuti nella Shruti, considerata opera meritoria[9].

Tutti i Purāṇa presentano quindi numerose stratificazioni, nonché diverse parti in comune tra loro, oltre a interpolazioni e a revisioni continue:

«I Purāṇa sono stati continuamente riveduti e aggiornati nel tempo fino all'epoca delle prime edizioni a stampa apparse attorno alla fine dell'Ottocento Di qui l'aleatorietà e temerarietà d'ogni ipotetica datazione.»

Questo impedisce una loro precisa datazione, e cronologia, anche se il Bhāgavata-Purāṇa[10] può essere considerato il più recente tra quelli detti "maggiori" (mahāpurāṇa)[11].

Mahāpurāṇa e Upapurāṇa

Una iniziale canonizzazione dei testi purāṇici si avvia verso il III secolo a.C., fissandosi tra il III e il VII secolo d.C.[12].

Tale canonizzazione procede lungo un mito eziologico presente, con leggere varianti, nel Matsya, nel Nārada e nello Skhanda Purāṇa, che vuole un originario purāṇa, composto da un miliardo di strofe, venire suddiviso e sintetizzato in 18 purāṇa per complessive 400.000 strofe[12].

La più antica lista di diciotto testi puranici principali (detti Mahāpurāṇa) è contenuta nel Mahābhārata (per quanto resti il dubbio di un'interpolazione del testo): l'insieme formato di queste opere più l'altro grande Itihāsa indiano, il Rāmāyaņa, è stato definito come un quinto Veda, e per la portata massiva del loro insegnamento etico e religioso, e per l'importanza storica e culturale che questi testi hanno assunto attraverso i secoli. Vengono sovente indicati in letteratura con il composto Itihāsa-Purāṇa.

Accanto a questa lista di opere maggiori vennero compilate diverse liste elencanti diciotto Purāņa minori o secondari, detti Upapurāṇa, che sono in verità presenti in numero assai maggiore e trattano dei più svariati argomenti, i quali spesso non sono rintracciabili nei Mahāpurāṇa.

Argomenti trattati

Viene tradizionalmente affermato che l'argomento affrontato dai Purāṇa è il pañcalakşaņa, ossia le "cinque caratteristiche distintive" qui di seguito elencate:

  1. sarga (creazione [del cosmo]);
  2. pratisarga (ciclicità [del cosmo]);
  3. vaṃśa (genealogia [divina]);
  4. manvantara (epoche [cosmiche], lett. "altro Manu");
  5. vaṃśānucarita (genealogia dinastica).

In verità questi temi sono presenti solo in minima parte nelle opere e rappresentano più che altro un tentativo di canonizzazione teorica della letteratura puranica.

Si può dire che i Purāṇa si basano prevalentemente su testi di carattere mitologico che tendono in definitiva a sfociare nella glorificazione di una divinità piuttosto che un'altra (le più celebrate sono Vişņu, spesso sotto forma di avatāra, Śiva ,la Śakti e infine Brahmā), ma anche a esaltare il potere salvifico e purificatore di taluni luoghi sacri, periodi temporali, pratiche devozionali (bhakti) e qualità dello spirito. Questi testi, detti Māhātmya (contrazione di mahātman, traducibile non letteralmente con "grandezza"), costituiscono la parte prevalente di molti Purāṇa; ad essi sono poi associati altri tipi di testo, come le Gītā (canti divini che hanno come modello la celeberrima Bhagavadgītā), gli strota (inni laudativi) e varie storie di carattere edificante.Tutte queste tipologie testuali sono indipendenti l'una dall'altra ma vengono associate insieme per formare quel quadro composito che è il Purāṇa, sebbene, almeno per quanto riguarda taluni Māhātmya, si abbiano attestazioni di una loro redazione autonoma.

Classificazione dei Purāṇa maggiori

Esistono in letteratura varie classificazioni dei Purāṇa maggiori (Mahā Purāṇa): cronologiche, in base alle divinità o in base alle guṇa. Invero non esiste un accordo univoco fra gli studiosi in nessuna delle prime due classificazioni, e fra le tre quella in base alle divinità è forse la più aleatoria, dato che diversi Purāṇa contengono sezioni dedicate a più divinità (per esempio nello Śiva Purāṇa due capitoli sono dedicati a Viṣṇu[13]).
Seguendo la classificazione in base alle tre guṇa, e cioè: rājas (generazione, passione: attributo di Brahmā); tāmas (dissolvimento, oscurità: attributo di Śiva); sāttva (mantenimento, verità: attributo di Viṣṇu), abbiamo la seguente classificazione[14]:

Il phala

Il fine ultimo posto dai Purāṇa è l'acquisizione di un phala (lett. "frutto", in questo caso traducibile con "merito spirituale"). Esso si può ottenere nei modi più vari (nelle singole opere spesso si possono trovare indicazioni specifiche): principalmente attraverso la lettura, l'ascolto del testo e rendendo devozione al dio in esso celebrato, ma anche seguendo le indicazioni date sul pellegrinaggio in luoghi sacri e addirittura semplicemente possedendolo o facendone dono a un brahmano.


Traduzioni italiane di Purāṇa

  • Srimad Bhagavatam. La saggezza di Dio, a cura di Swami Prabhavananda, Ubaldini Editore, Roma 1978
  • Il libro di Krsna. Un riassunto completo del decimo canto dello Srimad Bhagavatam, a cura di B.V. Swami Prabhupada, The Bhaktivedanta Book Trust Italia, Roma 1989

Note

  • ^ Databile fino al movimento bhakta viṣṇuita dell'India meridionale.
  • ^ Caterina Conio, Purāṇa, "Enciclopedia delle religioni", vol.9, Milano, Jaca Book, 1987, p. 295.
  • ^ a b Pelissero, p. 97
  • ^ Vedi Shiva Purana
  • ^ Gavin Flood, L'induismo, traduzione di Mimma Congedo, Einaudi, 2006, p. 148.
  • Bibliografia

    • G. Boccali, S. Sani, S. Piano, Le letterature dell'India, UTET, Torino 2000
    • Francesco Sferra (a cura di), Hinduismo antico. Dalle origini vediche ai Purana, Milano, Mondadori, 2010.

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